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martedì 30 giugno 2009

Segni di ripresa, delle banche?

L’economia si riprende, si sente dire sempre più spesso, ma non si dice da cosa. Si riprende dal quasi fallimento, che non ha ancora finito di manifestarsi per intiero. Ci vorranno quindi anni solo per recuperare i livelli antecrisi. Si sono riprese le banche, che sono quelle che hanno creato la crisi, e questa non è una buona notizia. Le banche sopravvivono infatti grazie alla crescita abnorme del debito pubblico in molti Stati - l'Italia è forse l'unica eccezione - per poterne finanziare il salvataggio, un peggioramento che peserà sulla economia del mondo intero per molti anni, riducendo la liquidità. E "grazie" a una disoccupazione record in molti Stati, Usa, Giappone, Spagna, Germania, un esito anche questo della crisi di liquidità provocata dalle banche.
Si parla del resto di ripresa, ma con pochi dati. Che sono tutti pessimi, anche per le banche. La liquidità enorme iniettata nelle economie maggiori si è indirizzata verso impieghi a loro volta liquidi, in titoli e obbligazioni, senza corsie privilegiate per le attività produttive, contro le quali si alzano semmai muri suppletivi. Le banche peraltro si riprendono anche lucrando, suprema ironia, sul maggior indebitamento degli Stati. Magare per salvare le stesse banche, o anche solo "in virtù" dei maggiori oneri sul debito. Un paese come l'Italia, che non ha speso quasi nulla per le banche, dovrà tuttavia pagare sui 7-8 miliardi di euro in più sugfli interessi del suo debito pubblico in essere.
Da metà 2007 a fine 2008 le perdite patrimoniali delle famiglie, delle imprese e della finanza negli Usa hanno eguagliato il pil dello stesso 2008, circa 13 mila miliardi. Ma forse è andata peggio: nel mondo, secondo Lawrence Summers, ministro del Tesoro di Clinton, oggi capo degli economisti di Obama, la ricchezza delle famiglie e delle imprese aveva perso 50 mila miliardi – il che dovrebbe implicare una perdita Usa di due o tre volte il pil. Le prime dieci banche Usa hanno ancora 3.600 miliardi di attività insolute, dopo tutte le cancellazioni disastrose, e 600 miliardi di titoli senza più valore sul mercato, a fronte di 400 miliardi di capitale.
Le amministrazioni Bush e Obama hanno lanciato una politica di enormi deficit, e di sovvenzioni miliardarie per salvare imprese e banche. Senza nazionalizzarle, cioè scommettendo sulla loro ripresa. Siano quindi alla scommessa, più che al rilancio. Il bluff conta molto sull’effetto annuncio, per limare le attese pessimistiche, ma non è garanzia di niente. Questo enorme indebitamento per il bene delle banche è peraltro motivo dell'accrescimento dei tassi e quindi degli oneri finanziari, che colpiranno a lungo paesi come l'Italia: i tassi aumentano in parte per paura della crisi, e in parte più consistente per la domanda di debito.
Indebitarsi per le banche
Le misure anticrisi lasceranno un debito immenso, che si aggiorna di mese in mese in peggioramento. Il Fondo Monetario ha previsto a febbraio una crescita del debito del G 8 di 14 punti del pil nel 2009 (dal 79 al 93 per cento) e di altri sette punti nel 2010, per arrivare a quota 100 per cento del pil. Ma la politica del deficit viene continuamente aggiornata in America, dove le previsioni sono più collaudate, in peggio. Il primo bilancio di Obama prevede un debito lordo pari al 93 per cento del pil nel 2013. Ma è già al 90 per cento. A febbraio il deficit cumulativo Usa 2010-2019 era stimato in settemila miliardi, a marzo la stima era salita a 9.200 miliardi.
Due mesi fa le cifre erano queste, così sintetizzate dal “Sole 24 Ore”: per la politica degli interventi si calcola “una cifra di oltre 23 mila miliardi di dollari, per oltre la metà americani. E non è finita, perché qualcuno dovrà colmare il buco delle banche statunitensi, valutato a non meno di duemila miliardi. E anche in Europa nessuno sa se il salvataggio è finito. La seconda guerra mondiale… costò (agli Usa) sui due fronti dell’Europa e del Pacifico 3.600 miliardi di dollari, rivalutati a oggi. Il New Deal 500 miliardi”.
La questione viene volentieri portata a livello teorico, tra i difensori della neutralità del debito, che comunque non pone problemi in un’economia ben gestita, e i monetaristi assatanatati che lo vorrebbero cancellato. Ma cos’è un’economia ben gestita? Quella americana per dieci anni ha buttato anticorpi, e non si è spurgata, al contrario ha collassato. Si fa dottrina anche per evitare di riorganizzare i mercati, come si dovrebbe dopo quello che è avvenuto. Che comunque non è da poco, e sopravvive al dibattito: resta: la metà della ricchezza degli americani è scomparsa, e una fetta consistente degli altri compagni di sventura.

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