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lunedì 29 giugno 2009

Ma le bombe furono migliaia, impunite

È uno dei tanti contributi degli storici che ultimamente si affannano a dire che la strage di Stato non ci fu. Forse perché l’epoca è al destra-sinistra, oltre che al buonismo. Ma, curiosamente, senza criterio storico, poiché evitano i fatti. Al paragrafo “Uno Stato stragista?”, Satta spiega: “In riferimento stavolta alla sola eversione di sinistra, una tesi ricorrente ne attribuisce lo scatenamento a una sindrome auto-difensiva provocata dalla strage di Piazza Fontana e dall’incapacità dello Stato di fare giustizia sulla vicenda”. E allora? È un caso di post-hoc ergo propter hoc, e tuttavia non falsa. È anche vera? Lo storico dei movimenti dirà di sì. Allo stato dei fatti non è falsa, e questo è una verità: non c’era il terrorismo prima, ci fu alcuni mesi dopo, con una lenta organizzazione.
In seconda ipotesi, Satta mette in causa gli individui, i singoli: “Ricade su ciascun singolo l’ulteriore sciagurata scelta di reagire violentemente, dalla qale si astenne buona parte di coloro che condividevano l’analisi sbagliata in partenza”. Lo dice dei terroristi, di quelli che reagiranno a Piazza Fontana col terrorismo, ma per assolvere, per analogia, lo Stato: “Dello Stato, al massimo, si può dire che se avesse avuto la capacità di fare piena luce e giustizia su piazza Fontana, esso, con ciò, avrebbe anche tolto ai suoi nemici armati no dei loro pretesti”. Solo che non ci sono individui nello Stato: la burocrazia non è terrorista, o individualista, è collettiva per legge e tradizione – non c’è peggior collettivismo della burocrazia. E la luce mancò non fu per improvvisa interruzione di corrente.
Le bombe a Piazza Fontana non furono isolate, ma le ultime di una serie a Milano. In concomitanza con l’autunno caldo, le agitazioni sindacali. Di quelle bombe erano stati accusati gli anarchici, sapendo che non ne erano gli autori. Le indagini su Piazza Fontana furono avviate su un punto sicuramente morto – Pinelli, ma anche Valpreda. Nessun processo ha accertato la verità in nessuna delle bombe (eccetto i soli casi di Tuti, battitore libero, di Bertoli, un incapace, e naturalmente di Concutelli, un belva fuori fuggita dalla gabbia) e questo non è possibile. Avviene, ma non rientra nelle possibilità. Occorsio era un onest’uomo, ma le indagini gli furono affidate per sottrarle al giudice naturale a Milano. Su pressione e quasi un diktat del presidente Saragat. Inutile rifare la storia delle centinaia di processi che non sono riusciti ad accertare la verità, da piazza Fontana a piazza della Loggia – con code a Bologna e a Ustica.
Sabbatucci ha potuto demolire la tesi che i mandanti della strage di Piazza Fontana fossero le istituzioni (Il golpe in agguato e il doppio Stato, in”Miti e storia dell’Italia unita”). Ma è la tesi di chi? Non c’è alcuna storia, alcuna prova nella storia, di una strage ordinata dalle istituzione, nemmeno della Saint-Batrthélemy, nemmeno dell’Olocausto, che pure furono molto organizzati e nient’affatto casuali. Né c’è mai un doppio Stato, è una contraddizione: lo Stato è unico, anche se non è unitario o unito.
Il complottiamo non è onorevole, bisogna stare ai fatti. E uno di questi è che il complotto non c’è, cioè non si dichiara. E anzi non c’è storiograficamente. Ma le bombe ci sono state, in grande quantità, alcune migliaia in un paio d’anni. Esplose, con danni talvolta alle persone, e inesplose. Che richiedevano una rete organizzativa, e una protezione – una garanzia di impunità. Non per sempre, giusto quel tanto che serviva a disinnescare l’onda sociale di protesta o a schiacciarla nel terrorismo. Lo stesso Satta accredita le testimonianze secondo le quali l’avvocato romano Fusco, “che aveva frequenti legami con i dirigenti del Sid”, il 12 dicembre si accingeva a partire per Milano “allo scopo di prevenire la strage”. Questa è l’unica forma di traccia che può sfuggire a un servizio segreto, la confidenza di un uomo a sua figlia.
Un terzo argomento di Satta è Andreotti. Perché Andreotti denuncia nel 1974 i servizi segreti e i golpe? Perché non nel 1973? Un argomento inutile dal momento che il contesto è palese, e lo stesso Andreotti non avrebbe motivo di negarlo. Perché Andreotti voleva abbandonare la destra, di cui era stato sempre il referente, se non il capo. Accertata la disponibilità di Berlinguer di mettere i voti del Pci a disposizione della Dc senza governare (la versione reale del compromesso storico), Andreotti fece il grande balzo che lo proietterà a capo del governo per quattro anni. Denunciando i servizi segreti metteva anche in difficoltà Moro, il suo grande concorrente e nemico, che dei servizi era il dominus dal 1968.
Vladimiro Satta, Gli «anni di piombo», la reazione dello Stato, in “Nuova Storia Contemporanea”, a. XII, n.2, marzo-aprile 2009

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