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martedì 20 ottobre 2009

I godimenti dell'Io infranto

Libro spaventoso. Onesto, accattivante a tratti, spaventa che si ristampi da trent’anni ormai in continuazione, forse il libro che è stato più in catalogo del suo pur opulento editore, settecento pagine di poesia. Peraltro molto ineguale: è un’antologia, ma molti pezzi ha spenti. Nell’originale oltre che per le traduzioni, che, benché aderenti, inevitabilmente trascurano con le rime la musicalità e il ritmo, specie in “Mensagem”. Eccetto che per lo stesso “Mensagem”, il poema del Portogallo, per il saggio di Tabucchi e per le note di Maria José de Lancastre. E per l’invenzione degli eteronomi, certo, la lettera alla zia, “Ultimatum”, “La legge di Malthus della sensibilità”, i versi gnomici, la filosofia di Antònio Mora.
C’è di che leggere, i motivi d’interesse non mancano. In “Ultimatum”, dove Pessoa scaccia i mercanti dal tempio, D’Annunzio è “don Juan a Patmos”, H.G.Wellls “immaginifico di gesso, cavatappi di cartone per la bottiglia della Complessità”. Ma sommersi da valanghe di versi e di pagine inutili. Incredibilmente illeggibile la celebre “Ode marittima”, che per un migliaio di versi mai risponde all’iniziale curiosità (e tuttavia è già alcuni “Cantos” di Pound…), così come le altre “Odi” di “Alvaro de Campos”. Con la traduzione peraltro spesso migliore dell’originale. Specie delle ultime poesiole, con i loro suoi tanti versi entrati nella parlata.
È per questo un libro spaventoso, sorprendente per la tenuta, sempre riedito, un libro di poesie. Di un autore che pretende: “Non mi ricordo un libro di quelli che ho letto”, si amerà la saggezza, in poesia e in prosa: “La più «radicale» delle dottrine, se viene universalmente accettata, è una dottrina conservatrice”. Si apprezzerà per le tante anticipazioni. Dal celebre “è tardi già, e ancora è presto”, alla fenomenologia, con più chiarezza peraltro di un Husserl. A Heidegger e il cosiddetto esistenzialismo: “E per assenza esisto, come il vuoto”. Alla fisica della Complessità.
O è buon compagno per la gnomica lieve degli ultimi versi, specie degli ultimi versi, sorprendente. Di freccette dritte al cuore. Un florilegio si può estrarre che consolerà i più:
“Sono venuto qui per riposare,\ma ho scordato di lasciarmi a casa!
“Quali altri? Non ci sono altri”.
“Ogni cosa a suo tempo ha il suo tmpo”.
Tutto Reis: “Ciò che sentiamo… è ciò che abbiamo”. “Chi poco vuole, ha tutto”. “Non so di chi ricordo il mio passato”. “È in me che Dio ha vita”.
O Caeiro: “C’è abbastanza metafisica nel non pensare a niente”. “Pensare a Dio è disobbedire a Dio”.
Di un pessimismo già di stagione. “Uno studio imparziale è un lavoro socialmente inutile”, conclude Pessoa. E perché dovrebbe essere socialmente utile?
Pessoa sarà stato il monumento all’Io nel momento in cui l’Io si decomponeva, e lui stesso lo smembrava meglio di altri - Foucault, nell’“Archeologia del sapere”, 1969, dirà questa applicazione di superbia ineguagliabile: l’autore che dichiara la morte dell’autore, e annunzia che non sarà mai lo stesso, quella pratica lasciando all’anagrafe, chi scrive questo in realtà “scava un tunnel, per nascondersi e sfuggire a sé stesso”. E questa è la chiave della sua discreta costante popolarità: l’ego terribile, spropositato, sfrenato, nel compiacimento illimitato di sé per centinaia, migliaia, di versi e di pagine, ripetitivo e anche sorprendente, e senza tragedia. Non c’è altro motivo: l’arguzia e la gnomica sono succedanee, lampi parziali. E Tabucchi certo, la chiave è il curatore: per nessun altro è vero come in questo caso, che l’autore è il suo lettore. Qui, in “Un baule pieno di gente”, “Il signor Pirandello è desiderato al telefono”, e in altri saggi e scritti di circostanza, Tabucchi crea un Pessoa affascinante.
Leggendolo come nuovo un secolo dopo, Pessoa è anche la sanzione dell’immutabilità del Novecento, monotematico nella crisi dell’Io presuntuoso, il secolo della novità continua, radicale sempre: è contemporaneo ciò che Pessoa sapeva e scriveva nel 1910, con gli stesi termini. Sarà anche questo un motivo della fortuna costante di questa robusta antologia.
Fernando Pessoa, Una sola moltitudine

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