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lunedì 8 aprile 2013

Letture - 132

letterautore

Dio  - Rebecca West ha (nel racconto “Matrimonio i dissolubile”) “un Dio da bambini, un braccio immenso che calasse dalle colline e lo sollevasse per stringerlo a un petto amorevole” – lo fa desiderare al protagonista che non ama.

Ironia – Umberto Eco sa esercitarla senza opprimere, come cifra che il “discorso” riporta all’indefinito (indicibile). Entro il quadro di un amabile scetticismo – che non esclude cioè ma include. Fin dagli inizi, dalla semiotica di “Lascia o raddoppia”, e anche in filigrana nei romanzi. Che, pur prolissi, si tengono insieme pagina dopo pagina, capoverso dopo capoverso, frase dopo frase, per il continuo calembour di scoperte (accostamenti, similitudini, conclusioni, paragoni).

Joyce – Il suo fan Umberto Eco lo dice dannunziano. Per scherzo, ma come non averci pensato (lo steso Eco non ce l’aveva detto, cinquant’anni fa, nella pur estesa joyceana di “Opera aperta”).
Joyce aveva letto a amava D’Annunzio, i romanzi, “Il fuoco” in particolare, il più dannunziano.
Per scherzo ma non tanto: Eco compara in “Costruire il nemico” un passaggio di “Dedalus. Ritratto” col uno del “Fuoco”, della prima parte del “Fuoco”, che sembra un calco.

Némirovsky – Sei editori in gara, Adelphi, Newton Compton, Elliot, Editori Riuniti, Castelvecchi, Giunti, con sovrapposizioni, e un numero di opere disponibili, in traduzione, quasi doppio di quello in francese, la lingua originale. La fortuna della scrittrice, morta a Auschwitz nel 1942, che negli Usa è rimasta bloccata dalla “questione Némirovsky”, in Italia è invece libera, non legata evidentemente al pregiudizio.
La “questione”, di cui in Italia non si sono avuti praticamente echi, è nata dal sospetto di un semitismo antisemita. Nei racconti a sfondo autobiografico, “David Golder” e “Il Ballo”, i più riusciti e famosi prima del postumo “Suite francese”, Irène Némirovsky tratteggia con irrisione la borghesia del denaro, il padre banchiere e la madre che solo ha cura di gioielli e pellicce. Tanto è bastato, nell’ipersensibilità dell’ebraismo americano, per farla accusare di antisemitismo. In realtà, è impossibile trovarne traccia nella sua opera – adesso che i sei editori l’hanno spulciata fin nelle pieghe (ma restano molti racconti…): i risentimenti sono personali, soprattutto contro la madre, e non razziali. Lei non potrebbe, che si vede felice ebrea giovane, e poi nel matrimonio con Jacob Epstein, che morirà per non essere riuscito a salvarla – denunciata, è da aggiungere, e perseguita dai francesi, nello scetticismo del comando tedesco.
È un’ebrea di prima dello sterminio, che oggi sembra impossibile. Che può esserlo cioè senza complessi. Come un napoletano a Milano. Il revival è quindi anche dell’integrazione possibile, che a lungo in anni recenti è stata abominata, soprattutto dal semitismo più militante o consapevole.
Ma è anche una scrittrice “di destra”. Cercò anche la collaborazione a giornali e riviste di destra. Un fatto che sarà anch’esso portato a prova della “questione Némirovsky”, dato che la destra francese sarà solerte braccio dello sterminio. E invece non vuol dire, non tutte le coscienze sono sporche.
Némirosvsky è critica del denaro e della borghesia del denaro da destra: all’inseguimento della felicità. Per far salvi i sentimenti e la forza dell’animo nei tristissimi anni Trenta, di una crisi economica che oscurò le coscienze di molti. Così già prima, nei lieti anni Venti, per l’integrità e l’animo lieto della gioventù.
Si può dirne il revival legato alla crisi? Si deve pensare la destra meglio equipaggiata per far fronte alla crisi? 

Tesori – “La vetrina del maggior gioielliere di Parigi non vale una bancarella del mercato delle pulci”: U.Eco, “Costruire il nemico”, p. 99, non ne dubita, e in un certo senso ha ragione, ma lascia perplessi. Il collezionismo è ragionevole e anche prezioso, tramanda, e quindi mantiene in vita, tradizioni, memorie, oggetti, modi di essere, civiltà – le cose dicono. Ma, per quanto preziosi, gli oggetti antichi respingono, hanno sempre un che di rivoltante, come un vomito di roba mal digerita, tropo a lungo ruminata. O di polveroso – si vede nelle mostre di costumi teatrali, che ora usa (da ultimo quello, per la verità ricchissimo di idee e colori, di Anna Anni in corso a Pisa). Mortuari – i tesori si accompagnano spesso ai reliquiari. Perfino le pietre preziose, che pure non si opacizzano, non prendono patina. La patina che sulle grandi superficie abbellisce, le architetture, anche le stature, sulle piccole, quadri compresi, è “sporca”, di incrostazioni nauseanti, di polvere, fumo, umidità.

Virago – È termine andato desueto col femminismo – ma la sua ultima incarnazione è in un’editrice inglese di scrittrici, senza maschi. È genere decaduto, anche, si suppone. Caratterizzato dalla voracità, quasi un gioco di parole, virago-vorace. Una incarnazione da manuale fu, nelle lettere, “Sibilla Aleramo”, che colpì parecchi autori à la page, a partire da Giovanni Cena, direttore di giornale, fino a Gor'kij e da ultimo Quasimodo, quando (lei) aveva sui sessant’anni, e perfino il povero Campana – con D’Annunzio non le riuscì, e allora andò a letto, dice, con Eleonora Duse. Ma non è estinto: Maria Luisa Spaziani ne rinnova il genere con l’intervista a Gnoli il 3 febbraio su “Repubblica”, dicendosi embedded con tutte le celebrità – “uomini importanti hanno attraversato la mia vita”: Kissinger, il marchese Galvano della Volpe, filosofo marxista, Luico Piccolo, Zolla, Evola (Evola?), Montale, a cui ha dedicato un libro, “Montale e la volpe”, e tutti quanti. Ma tutto sempre, naturalmente, da signora. La voracità è inestinguibile. 

letterautore@antiit.eu 

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