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giovedì 25 febbraio 2016

Quando l’antisemitismo non era peccato

È probabilmente il primo testo letterario del dottor Destouches, il futuro Céline, nel 1926, contemporaneo al “Progresso”. Due abbozzi di commedia, definiti dall’autore farse. Dove però non si ride, al più si ghigna: due testi satirici. Uno contro il vizio del voyeurismo, suo proprio, “La chiesa” contro il carrierismo alle Nazioni Unite, all’insegna ipocrita della pace e lo sviluppo, ambiente che il dottore conosceva per averci lavorato a più riprese per un decennio (a quella che sarà l’Oms, l’organizzazione per la sanità): “Il tema della farsa è esplicito: sollevare il velo sulle buone intenzioni degli uomini chiamati a compiti di responsabilità negli organismi internazionali che si occupano dello sviluppo e del progresso delle popolazioni più indigenti”.
A “La chiesa” Destouches-Céline ci teneva. Ne propose il manoscritto all’editore Gallimard, che non lo pubblicò ma lo apprezzò. Sei anni dopo, a seguire al successo del “Viaggio al termine della notte”, lo stampò Denoël, l’editore del “Viaggio”. Dullin e Jouvet, massimi teatranti dell’epoca, presero la farsa in considerazione. Ma fu rappresentata solo a Lione, nel 1936. Senza successo. Quando già Céline aveva rinunciato al teatro. Per non saper fare i dialoghi, scriveva agli amici. No, i dialoghi li sapeva scrivere, per esempio nei romanzi e nei libelli. Ma era troppo animoso: la ragione per cui non si ride alle sue farse è che la satira è insistita, cioè piatta.
L’interesse della pubblicazione è paratestuale. Per due motivi. Ancora nel 1938 Céline non era il sulfureo fascista antisemita delle future polemiche di Sartre, benché avesse pubblicato già tre libelli, “Mea culpa”, “Bagattelle per un massacro” e “La scuola dei cadaveri”: il filosofo aprirà quell’anno il suo primo e più celebre romanzo, “La nausea”, riscrittissimo, controllatissimo, con una citazione di Céline presa proprio da “La chiesa”: “È un giovane senza importanza collettiva, è soltanto un individuo”.
L’altro motivo è che l’antisemitismo negli anni 1930 non era ancora un peccato, non uno grave: “La chiesa” ha, tra i luoghi comuni sulle massonerie, l’ebreo cinico Yudenzweck (“la cosa ebraica”), uomo senza emozioni. Senza dire che su Yudenzweck sembra ricalcato il Solal di tanti libri di Albert Cohen, anch’egli per qualche tempo ginevrino, anche alla Società delle nazioni (all’Ilo, l’organizzazione del lavoro).
Céline, La chiesa, Irradiazioni, pp. 150 € 12,40

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