Cerca nel blog

venerdì 10 giugno 2022

C’era una volta l’Italia

Pomicino, il “Geronimo” di molte cronache politiche del “Giornale” di Feltri e Berlusconi, già ministro del Bilancio negli anni 1990, fedelissimo di Andreotti, ci ha preso gusto. Dopo “Strettamente riservato” e dopo “La Repubblica delle giovani marmotte”. A smantellare la Seconda Repubblica - o Terza, o Quarta che si voglia, tanto non si sa che cosa sia. “Controstoria della seconda Repubblica” è il sottotitolo. Con una ricetta semplice: dice quello che i secondi repubblicani non dicono, ma che tutti hanno visto e vedono. Il mercimonio delle banche e aziende pubbliche, spezzettate e svendute, lo stato pietoso dei servizi nel mercato libero, a vent’anni o trenta dalle privatizzazioni, al telefono, nelle assicurazioni, in banca. In un’economia allo sbando: ogni anno perde posizioni, nel mercato mondiale e in quello europeo. Senza investimenti, e quindi non più competitiva - la produttività stagnante è il segno della Seconda Repubblica, l’Italia segna il passo da venticinque anni buoni. Con una disoccupazione reale enorme: l’Italia è il paese europeo con il più basso tasso di occupazione (persone al lavoro rispetto al totale della popolazione), dieci punti sotto la media continentale – era la quinta o quarta economia mondiale prima del colpo di stato di Di Pietro, Borrelli&Scalfaro. Sotto un debito pubblico triplicato rispetto al 1991, a prima del diluvio.
Un po’ questo terzo libro morde poco, rispetto ai primi due. Dove c’era la scena in cui Borrelli fa blocco con i suoi armigeri, “i giornalisti”: il Procuratore Capo di “Mani Pulite”, quando Carlo Sama comincia a nominare giornalisti, lo blocca con un liquidatorio: “Per quello che ci risulta, si tratta di giornalisti con i quali Sama aveva appuntamenti di lavoro” - Sama era l’“ufficiale pagatore” del sistema di tangenti collegato all’affare Enimont, per conto del gruppo Ferruzzi. O la vera storia della “discesa in campo”. Berlusconi temeva il fallimento a opera del sistema Mediobanca, di Enrico Cuccia e i suoi salotti milanesi, e per proteggersi entrò in politica. Dapprima come patrocinatore, subito dopo, al concretizzarsi delle minacce, da capopopolo. Fu tenuto a galla da due banchieri marginali al sistema, Luigi Fausti della Commerciale, che per questo pagherà, e Cesare Geronzi dell’allora Banca di Roma, che Andreotti proteggerà dai fulmini milanesi – Cuccia scese a patti con Andreotti. E la morale finale: con la politica Berlusconi evitò la sorte dei Ferruzzi, un impero dissolto dai salotti buoni nel nulla, col suicidio del capo azienda, Raul Gardini.
Molto peraltro Pomicino qui si occupa di fatti correnti, come un qualsiasi opinionista (tratta pure della “buona morte”), dopo un avvio brillante. Prefato da Ferruccio de Bortoli, che certamente non è sulla stessa linea d’onda di Pomicino - e lo scrive. Ma sa qual è la chiave di volta della Seconda Repubblica: la svendita della manomorta pubblica. Anche se sembra avere, a tratti, la memoria corta, anche lui.
Pomicino apprezza Draghi, anzi lo ritiene indispensabile, e lo scrive in un capitolo – senza Draghi l’Italia in questa legislatura non sarebbe andata da nessuna parte. Giusto. Ma la parte migliore dei suoi ricordi riguarda le privatizzazioni piratesche, dei grandi enti economici, delle grandi banche e delle grandi aziende pubbliche – roba da oligarchie postsovietiche: chi ha potuto ha arraffato. Cui ha presieduto Draghi, direttore generale del Tesoro. Alcuni gruppi sono riusciti a sopravvivere e anzi a rilanciarsi, molto competitivi sui mercati internazionali – caratteristicamente quelli in cui lo Stato è ancora socio di controllo: Eni, Enel, Finmeccanica, Fincantieri. Altri invece sono crollati a picco: molte banche, specie dopo l’eliminazione di Antonio Fazio dalla Banca d’Italia, la Sip-Stet, gruppo allora d’avanguardia, che privatizzato e spolpato sopravvive da “salvataggio” in “salvataggio”, la siderurgia, la meccanica (Ansaldo, Breda, Galileo, Nuovo Pignone…), Autostrade, l’alimentare (quanti marchi svenduti, per niente).  
Paolo Cirino Pomicino, Il grande inganno, Lindau, pp. 217 € 18,50

Nessun commento: