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sabato 19 giugno 2010

Quando i carabinieri erano in guerra

Ci fu un’epoca in cui i carabinieri erano in guerra, quotidiana, imprevedibile, con morti e feriti veri, contro il terrorismo che l’Italia negava (i giudici, i giornali), e contro se stessi. Una forza di polizia letteralmente comandata dalla P2. Mentre dei terroristi rossi si scriveva che fossero “sedicenti”, e tribunali e corti d’appello mandavano in libertà provvisoria terroristi già condannati, che subito sparivano. Tutto ciò sembra ridicolo, prima che impossibile, ma questa testimonianza in forma d’intervista del generale Nicolò Bozzo dice che quell’epoca non è tanto remota, e non è passata: non ha avuto nessuna eco, benché presentata da Nicola Tranfaglia, ed è subito finita al remainders.
La testimonianza è organizzata da Michele Ruggiero come un’autobiografia. E Bozzo, nonché non presumere di se stesso (fisico atletico e faccia da boxeur, il generale da ragazzo voleva fare il vigile urbano, e la sua felicità è essere diventato alla fine il comandante dei vigili della sua Genova), ha una biografia per lunghi tratti deludente. Compreso il suo comando sull’Aspromonte, dove ebbe la fortuna di liberare il giovane Casella, ma solo per l’avidità dei rapitori (avevano già intascato un miliardo) e la loro inettitudine. Dopodiché creò una struttura super militarizzata, con dispiego di elicotteri e reparti Cacciatori del tutto inutili, come le relative costose caserme, mai aperte, mentre il business dei sequestri è proseguito per un altro decennio, e tutti sapevano per mano di chi. Ma il punto di vista dimesso fa risaltare meglio i fatti di cui Bozzo è stato testimone o protagonista, specie nel triangolo operativo a lui più familiare, Genova, Torino, Milano.
È una testimonianza insolita dall’interno dell’Arma. Dichiarato è il personale antiamericanismo di Bozzo, viscerale. “L’Arma era un corpo separato dello Stato, al quale si prestava una fedeltà «condizionata» al quadro politico”. Il suo corso da ufficiale alla Scuola di guerra di Civitavecchia, tre anni, era diviso fra simpatizzanti della destra e della sinistra, senza alcuna simpatia per la Dc – per la quale invece erano schierati sottufficiali, graduati e truppa. Del Piano Solo e di Gladio l’intervistatore non ha naturalmente buona opinione. Ma Bozzo, reclutato tra i carabinieri dal colonnello Celi, stretto collaboratore di De Lorenzo, concede che le democrazie hanno tutte dei piani contro la sovversione: “Il «Piano Solo» rifletteva l’esecuzione di una modalità difensiva che in linea di principio spetta a qualunque Stato democratico”. E di Paolo Emilio Taviani, “il vero capo di Gladio”, ha un’opinione eccellente. Apprezza molto il lavoro del defunto colonnello Bonaventura, che è stato suo subordinato in varie operazioni, ma non ha apprezzato il modo come l’allora maggiore raccolse la testimonianza di Marino contro Sofri, soprattutto non la decisione di remunerarlo. Presidente del Cocer, il “sindacato” dei carabinieri, Bozzo è stato denunciatore della P 2, anche se ne faceva parte Dalla Chiesa, il suo padre putativo.
Qui, sui rapporti tra i carabinieri e la politica, occorre aprire una parentesi. Bozzo fu in Calabria l’ammazzasocialisti, nella regione dove il Psi contava per oltre il 20 per cento. Ci ha fatto anche carriera, portando all’emerito Cordova, il Procuratore Capo di Palmi, giudice di professa fede missina, le teste di tutti i socialisti della regione eccetto Giacomo Mancini. Al quale invece ha riservato un processo a parte con ventotto pentiti. Tutti i processi sono poi finiti in nulla – poi, dopo aver dissolto il Psi. E dunque, per chi lavorano i carabinieri apolitici, quale il generale si professa? Sembrerebbe per lo statu quo, cioè per il potere. Ma, allora, i servizi segreti deviati sono i carabinieri...
Egualmente controvertibile la parte riguardante il terrorismo. Bozzo è stato il collaboratore forse più stretto di Dalla Chiesa, nei vari nuclei speciali antiterrorismo creati dal generale. Di cui sottolinea in più punti la nota determinazione, e alcune debolezze caratteriali. Compresa quella di non rimuovere la censura inflitta a Bozzo per l’operazione Monte Nevoso il primo ottobre 1978: l’arresto di Azzolini, Bonisoli e Nadia Mantovani, ma anche il parziale occultamento delle carte di Moro, della parte forse sostanziale del famoso memoriale. Quella operazione fu un successo, dice qui, ma non piacque al comando della divisione CC di Milano, la Pastrengo, i cui ufficiali comandanti sono sempre stati della P2. Mentre non lo erano: né il generale comandante Italo Giovannitti né il capo di stato maggiore, il colonnello Vincenzo Morelli, che coordinavano le indagini - e avevano scoperto il covo due mesi e mezzo prima che Dalla Chiesa facesse intervenire Bozzo. La censura non gliela levò Dalla Chiesa, aggiunge Bozzo onestamente, quando divenne comandante della Pastrengo, ma sottintende che non gliela levò in ossequio alla P2.
Nelle argomentazioni, insomma, il generale non è plausibile: grande organizzatore, cattivo investigatore. Confusionario anche, e un po’ credulone: arrivò a credere a un senatore Cervone, moroteo, che gli garantiva un covo brigatista a Salice Terme su segnalazione “certa”, che poi risultò essere di un giornalista Maglione di radio Montecarlo: un covo frequentato da Adolfo Beria d’Argentine, che era il Procuratore Capo a Milano.
Di errori, invidie, e dell’innocentismo dei giudici e dei giornali Bozzo ha molte memorie. L’Arma odiava Dalla Chiesa. Peci e Micaletto sono stati arrestati per caso. Guido Rossa furono i carabinieri a metterlo nel mirino delle Br, rendendo pubblica la sua denuncia di un brigatista fiancheggiatore. Una pratica di cui non sembrano pentirsi, questa di esporre il testimone a carico, specie nei paesi di mafia – salvo poi addebitare agli stessi paesi l’inverosimile omertà.
E non è tutto. Bozzo racconta che Dalla Chiesa sospettava un complotto tra destra eversiva, criminalità organizzata, massoneria e servizi segreti. E che una volta gli chiese, brandendo un appunto in fotocopia, di indagare su Cia, Ordine di Malta, Opus Dei e Trilateral, quali organismi sospetti di golpismo. E uno non sa che pensare: de mortuis nisi bonum, ma il generale voleva evitare per caso indagini serie?
Il generale Bozzo sarà poi materialmente incaricato di recapitare a Berlusconi l’avviso di garanzia tanto urgente quanto infondato del 21 novembre 1994. Che contestualmente veniva recapitato al “Corriere della sera”, per il golpe giornalistico che abbatté il governo, dopo quelli politici di Scalfaro (la chiusura delle Camere, gli arresti indiscriminati). Ma nemmeno lui dice la verità, anzi insinua che a dare l’avviso al “Corriere” sia stato lo stesso Berlusconi.
Se non è lui capo, o parte, dei servizi segreti paralleli, nella sua logica, chi altri?
Michele Ruggiero, Nei secoli fedele allo Stato, Fratelli Frilli, pp.318, €15

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