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mercoledì 22 giugno 2011

Benjamin esorcizza coi sonetti l’attrazione della morte

Un decennio sotto la soggezione di Heinle, poeta più giovane di due anni, che Walter Benjamin conobbe nella primavera del 1913 all’università di Friburgo, e dopo un anno si uccise con la fidanzata Rika Seligson per lo sconforto, pochi giorno dopo l’inizio della guerra. Benjamin ne curerà la memoria per un decennio, scrivendo sonetti, settantacinque in tutto, in tre raccolte, fino al 1925. Dieci anni di sortilegi in realtà, in funzione apotropaica. Molti di questi sonetti, soprattutto della prima raccolta di cinquanta, hanno andamento canzonettistico – i Lieder, quando non sono sull’amore, sono sulla morte. Altri vagano in affanno, incerti, concettosi
Altri sonetti qui inclusi, sono sul matrimonio con Dora Kellner, che per Walter aveva divorziato da un precedente marito, Max Pollak, ma poi ne era stata lasciata per la scultrice Jula Cohn – una infatuazione di pochi mesi: dopo i sei sonetti in suo onore Walter la lascerà per Asja Lacis (nel mentre che andava in vacanza, a Ibiza e altrove, con le provvidenze di Gretel Karplus, amica molto intima moglie del futuro curatore della sua memoria Theodor W. Adorno – se andava a San Remo, invece, stava dall’ex moglie Dora, nella sua pensione Villa Verde).
È un’edizione un po’tirata via. Un’introduzione criptica di Rolf Tiedemann spiega che “le poesie dedicate alla morte dell’amico poeta rappresentano contraffatture capovolte dei componimenti della «stella del patto» di George, ma anche del «settimo anello»”. Si tratta della raccolta “Il settimo anello”, 1907, dove Stefan George celebra a più riprese l’amore del giovane Maximilian Kronberger, e della successiva “La stella del patto”, 1914, tutta centrata su Maximin. Non era un rapporto gay, quello di George con Maximilian-Maximin, da lui avvicinato per strada sedicenne, bensì platonico, pare, di guida spirituale ed estetica. Ma quando Maximin morì, due anni dopo, il poeta a lungo non se ne dette pace. Nella seconda raccolta, sempre in onore di Maximin, George ipotizza allo scoppio della guerra una società non più militarista e materialista.
Nulla di tutto questo in Benjamin. Che era molto socievole, se non un chiacchierone, e non era malato di “cenacolite” o cenobitismo: non ambiva a circoli chiusi, eletti, né a rapporti esclusivi, ancorché platonici. Il rapporto, non lungo, non specialmente intimo, con Heinle, lo opprimerà per dieci anni per l’angoscia della sua morte, risentita come una minaccia incombente sul proprio equilibrio: leggendo la raccolta, non si trova un altro filo. Benjamin, che non scriveva poesie, diventa poeta quando Heinle si suicida. È la sua maniera di reagire allo sconforto, spiega al grande amico di una vita Gershom Scholem. E questo farà: i dieci anni di sonetti in morte di Heinle, un amico fra i tanti ma suicida “per nessun motivo”, hanno soprattutto la funzione di scongiurare un cedimento, una tentazione analoga – “la fatica lieve dell’ora della morte”. La stessa socievolezza ha in Benjamn la funzione di allontanare la malinconia. La scelta del sonetto, forma da polire, di applicazione costante più che d’invenzione, confluisce in questa lettura, come un esercizio di attenzione prolungato, un’operosità scacciaumori – sarà per questo che i sonetti sono secchi?
Di Heinle, e del rapporto con Benjamin, Tiedemann fornisce un ritratto in appendice (che debutta con un refuso: “Quando nella primavera del 1923”, che è invece il 1913). Un rapporto di pochi contatti, non sempre concordi. Benjamin ne ama le (poche) poesie che gli capita di leggere – che però non sembrano granché, almeno quelle qui riprodotte da Tiedemann. E ne patrocina un paio di volte la collaborazione a “Der Anfang”, che però gliela rifiuta. Dal ritratto di Tiedemann sembra di arguire che Heinle abbia lasciato le sue carte a Benjamin, dato che questi “nel 1933, al’inizio dell’emigrazione, dovette lasciar(l)e a Berlino”. Ma Benjamin ne parla poco, a parte i sonetti. Di una conferenza su Heinle tenuta nel dicembre 1922 a Heidelberg dice che era “un lavoro svogliato” – caduto per di più “nell’incomprensione e lo snobismo” dei frequentatori del salotto di Marianne Weber.
Walter Benjamin. Sonetti e poesie sparse, Einaudi, pp. 228, € 15

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