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sabato 8 giugno 2013

La troppa bellezza è piatta

L’idea è semplice: una passeggiata per Roma, che sempre è bella e bellissima, di rovine, piazze, palazzi, fontane, scorci, terrazze, sulle cupole e sul fiume, i platani, i pini, i tagli urbanistici, fantasiosi e rigorosi, la sorpresa è costante,  negli itinerari usati si rinnova. Ma l’occhio di Sorrentino, è naturale, è filmico. In questo viaggio attraverso Roma si condensa su due dei tanti grandi film sulla città, “La dolce vita” e “La terrazza”, Fellini e Scola, la città barocca – fastosa e funerea – e quella che oggi si chiama la società civile. Così si dice, anche se le immagini riportano alla memoria, colorata, la Roma di De Sica, “Umberto D.”, di una città come sospesa, perplessa, invece che del beffardo Fellini. E l’impianto rinvia agli affreschi di Robert Altmann, delle società che si autorappresentano – senza le malinconie del regista americano.
Di Scola c’è perfino, di passaggio, Fanny Ardant. Di Fellini sono molti personaggi-caratteristi, a un sola dimensione, Verdone, Ferilli le maschere più note, e il viaggio condotto da un virgilio, qui un Toni Servillo gigione invece dello smarrito Mastroianni. Un film, si direbbe, postmoderno, su altri film. Anche la fotografia è artificiosa, d’immagini pop, schiacciate, piatte, senza prospettiva (profondità): aggressive ma vuote. Come la musica, dall’effetto costantemente disco.
Ma non è solo un omaggio, a Fellini, Scola e Roma, è anche un altro film. Che sconcerta: gli spettatori entrano ciarlieri, come a una festa, e prendono le prime battute ridendo, poi tacciono e forse si abbattono, ma senza andarsene, per le quasi due e ore e mezza di proiezione, senza intervallo. Forse perché si entra sapendo quello che il film poi non è. Un magnifico scemenzario, si direbbe, e forse, a questo punto della storia, di demenza: un lussuoso manicomio aperto di folli presuntuosi - Sorrentino non è ipocrita come Fellini, e non si nasconde.
È un film di relitti. Derelitti. Nel senso, se si vuole, del Marx di Althusser, o dei giovanili “Manoscritti filosofici”, dello svuotamento o insignificanza del reale – o del Marx di Lukáks, della reificazione. E in quello comune di chi va alla deriva, senza più un’idea, un progetto, una voglia. Al centro del benessere per il quale tutti hanno sempre lavorato, seppure in un settore specifico: sono scrittori, artisti e gente di spettacolo. Belle case, possibilmente con veduta, Roma ne è piena, bei vestiti, festa continua, e il botulino in forma di farsesco pantomimo della Nuova Realtà.
Non c’è il Pd, che molti democrat s’illudono di vedere. L’ultima falce e martello è dipinta sul pube di una performer la cui arte è correre a schiacciarsi contro un muro, ma è un simbolismo irridente. “Vabbè, è un film sul Pd”, il critico del “Venerdì”, Diego Bianchi che è andato a vederlo con gli amici non trova di meglio che la battuta di uno di loro. Non è il solo. Ma Sorrentino non è un reduce né un nostalgico – il Pd, se è qualcosa, è nostalgia elitistica. Se non - naturalmente come Fellini, o De Sica – in quanto critico e nemico della “politica della cultura”. Questo c’è, l’irrisione della società “civile” e della “cultura” dei suoi giornali radical-chic, superba, asfittica, mortuaria: negli ambienti, gli argomenti, i modi di porgere, la frigidità. Ed è il limite del film, quello che lascia insoddisfatti: lo sdegno. In questo quadro tutto superfici tutto è detto, ma molto, purtroppo, radical-chic. Senza crederci e senza conseguenze, non è un atto d’accusa. E senza i chiaroscuri altmanniani – anche Fellini li aveva, seppure di malinconia più detta, meno soffusa.
Medusa ne ha voluto fare una grande storia. Ha fiducia nel grande cinema malgrado la crisi, e questo è meritorio – anche se va a finire che l’unico che cerca di creare ancora qualcosa è Berlusconi… Ha molti materiali di sostegno, tra essi la stessa sceneggiatura, di Sorrentino e Contarello, in elegante e accessibile pubblicazione di Skira. Ma il film di Sorrentino, come l’altra grande produzione di Medusa, “Baaria” di Tornatore, dà l’impressione di essere stato montato “male”, per ottenerne un sorta di kolossal. Utilizzando tutte le belle immagini girate. Un rimontaggio potrebbe avvantaggiarle – grande cinema fece Tornatore con un rimontaggio.
Paolo Sorrentino, La grande bellezza
Paolo Sorrentino-Umberto Contarello, La grande bellezza, Skira, pp. 224 ril. € 15

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