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domenica 19 giugno 2016

L’Occidente sunnita - saudita

Fate la guerra, per amore dei sunniti. Sembrerebbe una richiesta dell’Arabia Saudita, o di un altro dei potentati della penisola arabica, ma è la richiesta di Robert Ford, ex ambasciatore americano a Damasco. Dimessosi due anni fa per protesta contro Obama, e da allora consulente di non si sa bene quali interessi, Ford difende la posizione saudita sulla Siria, senza mai dirlo, in un’intervista al “New Yorker”.
L’intervista si collega all’“ammutinamento” di una cinquantina di diplomatici americani, con una lettera di critica al governo pubblicata dal “New York Times”: gli Stati Uniti devono fare la guerra in Siria. Non una posizione diplomatica, dopo le troppe guerre avventurose in cui gli Usa hanno impaludato l’Occidente da quindici anni, specie in Afganistan e in Irak, il terremotaggio dei bonapartismi arabi laici o poco rispondenti alla crociata islamica reazionaria, e la “creazione” del  radicalismo islamico con distinta funzione anti-occidentale. E dunque?
Ford ripete che Obama “sbaglia” in Siria, solo trascurando di dire che sostiene la posizione saudita: “Il messaggio dice chiaro che concentrarsi sull’Is non vincerà cuori e menti di abbastanza arabi sunniti siriani per fornire una soluzione sostenibile, a lungo termine, alla sfida dell’Is in Siria”. In chiaro: o Obama fa la guerra in appoggio ai sunniti siriani, ai sunniti arabi, oppure l’Is continuerà a fare sfracelli. Continua l’ex ambasciatore: “La comunità araba sunnita siriana vede il governo Assad come un problema più grave che l’Is”.
Senza vergogna Ford argomenta con la propaganda di guerra: “Il governo siriano ha ucciso sette volte più civili dell’Is”, etc.. E con una minaccia: “Il rischio è che, proprio come il Centro palestinese è crollato, così collasserà il Centro moderato in Siria. Dobbiamo avere la fiducia della comunità sunnita siriana araba per sconfiggere l’Is”. Cioè: o la guerra coi sunniti, a favore dei sunniti, oppure l’Is.
Ford ripete “araba” per dire che non vuole di mezzo i curdi.
Niente strategia e tattica, solo ufficio stampa saudita.
Con qualche errore – se non è, levantinamente, una messa in guardia e un ricatto. L’ex ambasciatore si rifà costantemente a Hillary Clinton: lei sì, quando era segretario di Stato – fino al 2012 - “aveva capito” la situazione. Cioè alla destinataria di fondi colossali dell’Arabia Saudita e del Qatar, via la Fondazione di famiglia, alla sua campagna elettorale.

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