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venerdì 24 giugno 2016

A Calais non ci sono i migranti

Letto il giorno del volgarissimo Brexit, l’opuscolo di Carrère, che dovrebbe essere un reportage sulla “Giungla”, il campo per migranti a Calais verso la Gran Bretagna, ma l’autore poi ci rinuncia, misura l’indigenza dell’Europa più che l’invasione temuta dai nostalgici inglesi. Rinunciare è un gesto di debolezza. Ma anche iniziare dicendo: “Vi sembrerà strano ma l’hotel Meurice di Calais è nato prima del celebre albergo parigino”. Hotel? Meurice? E non la Giungla dei settemila in attesa, preda dei facinorosi e farabutti, che nella massa dei migranti non mancano: manodopera criminale, avanzi o evasi di galera. Con un po’ di autoironia, sugli “inviati speciali” che rimestano nei soliti caffè e ristoranti dove tutti vanno. Ma anche qui senza infierire. Anche del Beau Marais, i quartieri di “urbanizzazione prioritaria”, Carrère accenna a dire che sono violenti senza paragone con la Giungla. E subito smette. Come dei calesiani: i pro e i contro i migranti sono malintesi, non le insufficienze di un’informarzione e un’azione politica.
L’indigenza dell’Europa è culturale. Malgrado tutto, il continente è ancora il più ricco del mondo – piange miseria, che è diverso. La Giungla di Calais è d’altra parte ciò che ha fatto vincere il Brexit: quale che sia il giudizio sul Brexit – ma è povera cosa, da alzheimer incombente – i “siriani” della Giungla di Calais saranno stati il detonatore. Settemila persone, non un esercito. Perlopiù in attesa di ricongiungimento familiare, per le storture delle leggi europee.
Il problema dell’immigrazione di massa è il degrado dell’opinione. Dei mediatori dell’opinione, dei giornalisti. Oziosi e svogliati, troppo spesso ignoranti. E quando sono ispirati accrescitivi: mostruosizzare, demonizzare, pro o contro. Uno storico futuro che volesse documentarsi sui giornali su questo fenomeno degli anni 2010 troverebbe poco o niente, nemmeno i numeri. Nulla sui trafficanti, in Africa, in Asia e in Europa, sulle motivazioni, sulla stessa organizzazione del traffico, che è organizzato, sui costi, economici (contanti, cessione di passaporti e altri documenti, indebitamento – quanto e a favore di chi deve lavorare un migrante per pagarsi il viaggio) oltre che umani.
Carrère indulge anche alla solfa degli afroasiatici che preferiscono la Gran Bretagna alla Francia. Che non si sa se è più stupidità o lazzo insolente (“che ce ne fotte a me degli immigrati!”). Sottosezioni del tema: preferiscono la Francia all’Italia, e la Germania alla Gran Bretagna.
Emmanuel Carrère, A Calais, Adelphi, pp. 49 € 7

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