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lunedì 4 settembre 2017

A Sud del Sud . il Sud visto da sotto (337)

Giuseppe Leuzzi

Dopo tanto leghismo, o in armonia col nuovo corso del leader Salvini, Milano si ritriova anche meridionale. Si era dimenticata la storia dei Longobardi, “un popolo che seppe cucire le differenze”, e una mostra russa ora gliela ricorda. 

Ma il “popolo che seppe cucire le differenze” è formula di Amedeo Feniello, storico che suona partenopeo. Che del resto ci voleva già tutti mussulmani.

Salvini leader di Milano non è male.

Sudismi\sadismi
Il “Corriere della sera” sposta il suo Umkhonto we Size che ha fatto grande Mandela, la sua punta della Lancia, Gian Antonio Stella, dalla Calabria alla Sicilia. Per vituperare l’isola. Ma che scopre lo Specialissimo nell’isola? Il teatro dei pupi. Leggere per credere:
http://www.corriere.it/politica/17_settembre_01/da-orlando-grillo-giostra-siciliana-va-scena-teatro-pupi-1f9d6b00-8e92-11e7-ae8d-f3af6c904a41.shtml
“Da Orlando, a Grillo la giostra siciliana. Va in scena l’opera dei pupi”.
Milano non si stanca mai?

Socrate a Milano. È in Sicilia l’infermo di Platone nel “Fedone”: non ne dubita Mauro Binazzi su “La Lettura” del 20 agosto. Non solo, la Sicilia è tutto: “La Siciliia non è più soltanto la sede mitica degli Inferi: diventa l’allegoria e il simbolo del mondo intero”. Anzi, Platone era Pirandello: “D’improvviso, la Sicilia di Platone si popola di personaggi pirandelliani”. E come? Personaggi “chiusi nelle loro stanze (in Pirandelo è «tutto un seguito di stanze», ha osservato Giovanni Macchia), come gli altri erano prigionieri nella caverna” – quelli di Platone.
Di più: Mattia Pascal è Socrate, o il filosofo nella caverna. Entrambi sono infatti “posseduti da una febbre dialettica, sempre pronti a discutere, arrovellandosi come avvocati, cerebrali e raziocinanti”. “Come avvocati” è una caduta di stile, ma la scoperta è di rilievo. Ora, Bonazzi non è nemmeno siciliano, è milanese, dice il suo profilo alla Statale, dove insegna la Filosofia. E dunque, è vero che c’è un morbo Sicilia, che la “linea della palma” sale ogni anno di qualche chilometro? Ma che abbia conquistato anche Milano?

Calabria nonchalante
“Povera, bella, nonchalante” dice la Calabria “M”, il mensile di “Le Monde”, a fine agosto: noncurante, indifferente. Un’aggettivazione sorprendentemente realistica, oltre che evocativa. Il corrispondete da Roma Jérôme Gautheret evoca “”il suo patrimonio archeologico inestimabile e misconosciuto, la sua cucina succulenta e le sue spiagge paradisiache, il tutto a prezzo modico”. Tutto vero, con l’aggettivazione indovinata – per prima la Calabria non conosce la sua storia. E il disinteresse, o l’incapacità, di mettere questi tesori a frutto. Con ordine, con giudizio.
Gautheret e “Le Monde” si occupano della Calabria peraltro marginalmente, per presentare la mostra fotografica che Simone Donati inaugura sulla Calabria “interiore” – dal titolo anch’esso indovinato e vero, “There’s Nothing Here”, qui non c’è niente. Una tappa del viaggio ormai decennale intrapreso dal fotografo fiorentino per “documentare i luoghi di aggregazione delle persone, ritraendo i crismi e le liturgie della massa”. Qui fatti dire (rappresenare), spiega Gautheret,  dai candidati all’emigrazione, “per studiare, trovar e un lavoro,o semplicemente sottrarsi alla fatalità”.
Nulla di nuovo, cioè la Calabria d’uso. Di non luoghi che Donati illustra con un palo della luce, su una catasta di tronchi al bordo della strada in attesa di trasporto, e una macchina semiarrugginita che sembra un’Alfasud – senza targa: sarà stata abbandonata in mancanza di uno sfasciacarrozze? Che intitola “No man’s Land alla periferia di San Nicola”. Che se è San Nicola Arcella è un posto in realtà di paradiso.
Gautheret ne sa però di più. Come del resto tutti. “Scorrendo paesaggi e ritratti, si è colpiti da un’assenza: quella dello Stato italiano, che sembra avere, stanco di guerra, deciso di abbandonare la Calabria a se stessa”. Con un’ “altra entità” di cui “si fatica a discernere le tracce: la sua (dello Stato, n.d.r.) rivale locale: la ‘Ndrangheta”. Ma della ‘ndrangheta, osserva ancora il giornalista, ce l’aspetteremmo: “Di essa la sua più grande forza non è d’aver saputo restare discreta?”
Con un’approssimazione nello snodo centrale: “Il prodotto interno lordo per abitante, meno di 16 mila euro, rappresenta appena la metà della media nazionale”, nota il corrispondente di “Le Monde”. Ma non compra molto di più – anche della media nazionale? Un impiegato comunale in Calabria è ricco, mentre a Milano combatte l’ulcera per pagare il mutuo.
Ma a ben riguardare anche l’annotazione tra Stato e ‘ndrangheta è approssimata. La malavita non è discreta in Calabria, minaccia e aggredisce ogni giorno a tutti i livelli. È lo Stato italiano che le consente l’anonimità, confrontandola ancora, come da centocinquant’anni, con schieramenti militari invece che non con qualche detective, un po’ più furbo.

La piovra contro Montalbano
Per promuovere il suo “Suburra”, serie netflix, quindi girata in fretta, produzione a basso voltaggio, Placido attacca i film di Montalbano. Opponendo loro “La piovra”, che propone a vero baluardo contro la mafia. Se non che i film di Montalbano si rivedono ancora per la quarta e quinta volta, “La piovra” no. E dunque: siano senza armi contro la mafia?
È la “Suburra” di netflix, che Placido annuncia violentissima, come la “Gomorra” di Sky,  il vero antidoto alla mafia? È dubbio. La violenza per la violenza può piacere – fare spettacolo. Ma nessuno ricorda un personaggio o una situazione della “Piovra” - di “Suburra” ancora non si sa, ammesso che si vada a vederlo entusiasti in streaming. Dove si spara a tutto e sempre, impunemente, argomentando di fatto che la mafia è universale e imprendibile, non c’è nessuna lotta, solo confusione. È questo che lo spettatore, inconsciamente, rifiuta, dopo averlo visto soggiogato dal dover essere e dalla pubblicità – il dover essere, il politicamente corretto, purtroppo è per il tutto è mafia.
Una chiave è che Montalbano non avrebbe sentito il bisogno di attaccare “Suburra” – non lo ha sentito contro “La piovra”: sono due mondi separati. Ma “Suburra” evidentemente non può vivere se non facendo secco Montalbano.

Processioni assolte
Dove è stato processato, in Calabria e in Sicilia, l’“inchino” di santi e madonne ai boss mafiosi è stato assolto: niente mafia, anzi il fatto non sussiste. A San Procopio, Rc, si processava per l’inchino Edoardo Lamberti Castronuovo, politico prodiano rispettabile e rispettato, nonché editore di una tv locale, assessore provinciale alla legalità. Che non c’entrava nemmeno con la processione, ma aveva preteso, laico, di difendere l’onore della Madonna del suo paese: aveva sfidato con una lettera aperta il corrispondente calabrese del “Corriere della sera”, che ne aveva scritto suggestionato da un video dei Carabinieri, a provare l’inchino. La Procura di Reggio Calabria l’aveva per questo incriminato di calunnia – non si è capito se nei confronti del giornalista o dei Carabinieri.
Sarà stata, quella di due anni fa, l’estate dei Carabinieri. O dei vescovi, che subito hanno proibito le processioni, specie i vescovi calabresi. Sarà stata l’estate delle caserme, o delle sacrestie?
Dei video diffusi dai Carabinieri non si sa. Dei vescovi, depurata la questione dal sensazionalismo mafioso, la questione si chiude come una manovra per appropriarsi delle processioni. Non del culto, o della purezza del culto, che al contrario in molti casi hanno perfino raddoppiato, inventandosi madonne nuove, della Pace, dell’Anima, della Salute, e nuove virtù dei santi. Per appropriarsi al contrario dell’organizzazione. Delle offerte, che sono quello che resta della festa, della devozione. Passando senza scrupoli sopra la buonafede dei fedeli, e la buona fama, quello che ne restava, delle comunità da loro amministrate.
La processione è un rito sicuramente religioso. Ma è una delle manifestazioni della festa. Che prende il nome dal santo o dalla Madonna ma è un rito sociale e non religioso. Popolare e comunitario. Intitolato al santo perché la vita attorno alla chiesa-parrocchia ha preceduto e ha più continuità di quella comunale o amministrativa. Specie al Sud, che non ha avuto una storia di Comuni. Una festa di musica, balli, botti, anzi elaborati fuochi d’artificio, luminarie, bevute, mangiate. In gestione autonoma o privatistica. Ma, e qui entra in gioco la chiesa, la festa si finanzia attraverso le offerte. Non al santo o alla madonna, quelle sono di pertinenza della chiesa, ma alla festa stessa. Dov’è il cambiamento dopo l’offensiva degli inchini? I comitati promotori sono ora quelli del parroco o del vescovo, e anche le offerte per la festa passano dalla chiesa.  
Quanto alla festa, la nuova si segnala per essere lugubre. La processione è una corsetta veloce attraverso le strade del paese, non più tutte, non più solenne e minuziosa. Spoglia, dimessa. Senza labari e gagliardetti, senza confraternite. Ugualmente assediata da masse di nerboruti poco raccomandabili come portatori, certo ora scelti dal parroco. Canti da chitarrate. Niente preci né giaculatorie.

Calabria
Il tuffatore De Rose, di Cosenza, che non ha soldi per continuare la preparazione e si trasferisce a Trieste, dove fa il cameriere, gareggiando per la locale Società di tuffi. La stessa storia di “Ringhio” Gattuso. Sembrava una favola nel “Ragazzo di Calabria” di Comencini trent’anni fa, è un fatto, e di attualità: la disattenzione per i poveri nello Stato sociale, e anzi patronale.

Francesco da Paola, “il santo italiano più europeo”, fu costretto dai re di Francia a spostarsi alla loro corte, come parafulmine contro le malattie – di Luigi XI, in successione, il Prudente, o il Ragno Universale, il famigerato Carlo VIII della discesa in Italia, e Luigi XII. Approdato in Provenza nel 1483, ebbe sede a Tours, dove visse fino alla morte, nel 1507, nel locale convento dei  Minimi, l’ordine da lui fondato. Fu santificato a tamburo battente, nel 1519. Nel 1562 gli ugonotti ne profanarono la tomba, bruciandone i resti. Un santo energico e mite, mitissimo.

S’incontra ovunque un Pci girando per la Calabria, sui manifesti e nelle cronache, con un Pcd’I, che sono quelli storici, Rifondazione  Comunista, e un inedito Comunisti Italiani. Una manifestazione di longevità, di fantasmi?

Brucia un palazzo fatiscente a Cosenza, abitato da persone in estremo bisogno, coi cartoni alle finestre invece dei vetri rotti, e con esso il palazzo accanto, storico, Ruggi d’Aragona, restaurato dal privato proprietario, Roberto Biliotti. Che ospita – ospitava – nelle sue sale le prime pubblicazioni di Telesio, Parrasio, Quattromani e altri cosentini illustri, con molte altre cinquecentine, con arredi d’epoca, e una pinacoteca. Tutto andato, più o meno, distrutto dal fuoco. C’è pietà per i tre poveretti vittime del fuoco. Della distruzione di palazzo Ruggi d’Aragona quasi non si parla.

C’è molta sensibilità “di classe”, si sarebbe detto un tempo, antiborghese. Che però è più spesso insensibilità: le tre vittime avrebbero potuto essere salvate, con una vita decorosa, in una struttura sociale. La vera sensibilità è indivisibile, quella che si esibisce è odio di classe, da tempo ormai ridotto a invidia.

Il fruttivendolo di un borgo di montagna ha una cesta di lime – produce of New Zealand. “La metà li abbiamo già venduti”,  dice, “lo usano per i cocktail”. Per le caipirinhe, il turismo in Brasile si deve essere diffuso, sessuale e non.
Il bergamotto, che la Calabria produce in esclusiva, ottimo sostituto del lime  in tutti i suoi utilizzi, è sconosciuto in Calabria, per i cocktail e non solo.

“Qui fu issato per la prima volta il Tricolore, il 29 agosto 1847”. Non è vero – neanche come anticipo del ’48: del tricolore i patrioti facevano già largo uso. Ma a Santo Stefano d’Aspromonte piace festeggiare così. Dappertutto in Calabria si celebrano patrioti e attività risorgimentali. Non c’è tanto patriottismo altrove.

I calabresi Giovanni Fiore da Cropani, “Della Calabria illustrata”, distingueva nel Seicento tra Brezzi, abitanti della Calabria Citra, o Nord, e Greci, della Calabria Ultra, o Sud. La prima caratterizzava come “sofferente, a gran cuore, pronta alle vendette dell’ingiurie, quasi tutta armigera”. La seconda, derivando “li costumi da’ greci”, diceva di gente “delicata nel vivere, splendida nel lusso, gonfia di sé medesima, poco stimatrice degl’esteri”, benché ospitale. Odiernamente i violenti, nella Locride come nella Piana di Gioia Tauro e a Reggio Calabria, sarebbero i secondi. L’Idealtypus, o i caratteri nazionali, non sono primari, mutano con le circostanze e i contesti.
Spesso, come è possibile nel caso di Fiore, si privilegiano le realtà esterne e in qualche modo concorrenti.  

Il “Quotidiano di Calabria” celebra a tutta pagina il “successo” di Unical, l’università della Calabria, a Cosenza-Rende: “Unica università italiana tra il 700mo e l’800mo posto nella classificazione Shangai”. Tacendo di quelle che vengono prima del 700mo posto. 

La Calabria è più che mai le Calabrie. Si attraversa la parte Nord della provincia di Cosenza con  l’impressione di trovarsi in un paesaggio toscano. Pulito, ordinato, anche nei casali. Con distinte proprietà “toscane” - urbanistiche, architettoniche - in alcuni centri urbani, per esempio Altomonte. E la ragione è probabilmente che questi erano i Casali di Cosenza che il Granduca di Toscana acquistò in feudo dalla Corona nel 1649, per la produzione della seta. Basta poco per cambiare i costumi, un poco di buongoverno.
I Casali – una sorta di ente territoriale longobardo, creato nel secolo X, a protezione dalle incursioni dell’emiro Abulcasimo (Abdul Kassem), che nel 975 e nel 985-986 saccheggiò Cosenza.

leuzzi@antiit.eu

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