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lunedì 3 maggio 2021

Il desiderio di confessarsi in vita - o il matrimonio malgrado tutto

In crisi creativa, nel 1931, il 14 giugno, Gide annota: “Senza questa formazione cristiana, senza questi legami, senza Em. che orientava malgrado tutto le mie pie disposizioni, non avrei scritto né “Andrea Walter”, né “L’immoralista”, né “La porta stretta”, né “La Sinfonia”, etc., neppure, forse,  “I sotterranei del Vaticano”, e “I falsari” per rifiuto e protesta…”. Nel 1938 il desiderio si dirada. “Da quado Em.”, annota, “mi ha lasciato (il 17 aprile 1938, n.d.r.), “ho perso gusto alla vita, e quindi smesso di tenere un diario che non avrebbe potuto riflettere che sgomento, angoscia e sconforto”. Em., Emanuelle, sta nel “Diario” per Madeleine, la cugina-moglie da lui fortissimamente voluta, che ha sposato dopo ripetuti rifiuti, e con la quale malgrado tutto ha sempre convissuto.
Il “Diario” sarà soprattutto la rappresentazione e la spiegazione di questo matrimonio. In una vita di relazione complicata: sposato con la cugina, Gide fa un figlio con la figlia dei suoi grandi amici, è sessualmente soddisfatto solo con le pratiche gay, e un solo amore professa, per Marc Allegret, giovane. Un matrimonio allora ambiguo e strano sotto tutti gli aspetti, da parte di lui, e da parte di lei. Oggi, in epoca lgbtq, della sessualità in piazza e le relazioni casuali, strano per essere un matrimonio pieno, di contrasti e comprensioni, di slanci come basso continuo, di proiezione l’uno nell’altra. Lei non voleva sposarlo, malgrado le sue ripetute insistenze. Quando cedette fecero un viaggio di nozze di otto mesi, in Nord Africa, Italia, Svizzera – ripetuto tre anni dopo, per cinque mesi, in Italia e in Svizzera. Lui faceva periodiche scorribande nel sesso maschile mercernario in Nord Africa, che vantava. S’innamorò di Marc Allegret – e in due lunghi soggiorni che fece con l’adone ventenne, in Inghilterra tre mesi, e nel Congo dieci mesi, continuò a scrivere a Madeleine, che distrusse quella corrispondenza. Frequentava la “Petite Dame” Maria van Rysselberghe, e la figlia di lei Élisabeth, alla quale nel 1923 fece una figlia, Catherine – la riconoscerà dopo la morte di Madeleine. Ma passava la maggior parte del tempo a Cuverville in Normandia, nella grande tenuta di famiglia di Madeleine, che sempre lo aspettava, come da copiosa documentazione fotografica,  e a suo dire lo indirizzava.   
Un’antologia, delle migliaia di pagine scritte da Gide tra il 1889 e il 1949, più di mezzo secolo e due grandi guerre. Di uno scrittore però immutabile. Che si esercita al piano, per ore e anche giornate. Si interroga su tutto quanto va scrivendo. Incontra Claudel, spesso, da ultimo con distacco, Martin du Gard con affetto, Valéry con profondissima stima e simpatia, Proust un paio di volte, Malraux, De Gaulle. Legge spesso Racine, che sente suo, e Stendhal, di cui lo sorprende il talento. Ha letto Dante, su cui si è formato. Riflette molto sulle questioni di fede, con letture originali, di cultura e penetrazione, dei Vangeli, di san Paolo, e anche del cattolicesimo – Madeleine era cattolica - benché nato nato e cresciuto in ambiente protestante.
Una lettura paradossale. La lettura dettagliata, di giorni e settimane, non aggiunge nulla ai primi rilievi, sfogliando il libro velocemente, per annusarlo. Leggendo attentamente sembra di rileggerlo: tutto quello che attira l’attenzione sembra di averlo già letto. Molte posizioni sono note: “È con i buoni sentimenti che si fa cattiva letteratura”, “L’arte abita le regioni temperate”. La lettura della letteratura dell’“io” rifugge dai dettagli - i dettagli, nella letteratura dell’io, sono superflui, la continuità prevale. Molto, con continuità, si interroga su quanto scrive. Se va, come va. Urtato fai “fallimenti”: non abbastanza elogiato. Forse, si domanda a metà, perché “libresco”? Ma anche questo è noto di Gide. 
“Scrive” la musica, che pratica al pianoforte per ore, anche per giorni. Con molto Chopin, di cui può dirsi, malgrado i limiti di tecnica pianistica, il migliore interprete. Molto piano, dunque, e molto Cuverville, la casa di famiglia, con Madeleine: la grande residenza normanna ereditata da Émile Rondeaux, il padre di Madeleine, dove lei l’attende e dove lui passa il più del tempo, benché in dialogo sempre più muto quanto devoto – “non c’è giorno in cui non senta l’imbarazzo del mio amore, del suo pensiero”. E sempre il tormento: “La verità è che non posso decidermi ad allontanarmi da Em.” – che dice dopo morta anche “il «testimone della mia vita», che mi impegnava a non vivere «nella trascuratezza» come Plinio diceva a Montaigne”. Nella lunga malinconia che lo assedia dopo la morte di lei riflette ancora con precisione: “Da quando non c’è più, non ho fatto che sembrare di vivere, senza interesse a niente né a me stesso, senza appetito, senza gusto, né curiosità, né desiderio, e in un universo disincantato; senza più speranza che di uscirne”. E l’8 ottobre 1938 - “anniversario, oggi, del mio matrimonio”: “Mi abituo a poco a poco all’idea di dover vive e senza di lei; ma, senza di lei, non mi interesso più alla mia vita”. Fa il suo mestiere.
In parallelo col rapporto con Madeleine, si distingue, seppure alluso, per accenni, quello con Marc Allegret. Una relazione affettiva relativamente stabile. Di Allegret fa anche un lungo, compiaciuto, ritratto di fauno nudo sotto i pantaloncini corti - “niente può dire il languore, la grazia, la voluttà del suo sguardo”. Il giovane sa scrivergli, anche, lettere “di una fantasia e di una grazie squisite”. Gide ha 48 anni, Marc 18. Marc nel 1950 farà un film, uno dei sui tanti, “Avec André Gide”.
Spesso è in Italia. A Napoli. A Sorrento. In vacanza estiva nel 1912 nella riviera marchigiana, a Grottammare, San Benedetto, Acquasanta, molto a suo agio, riposo di grandi letture.  Di letture sorprendenti.  Di “Madame Bovary”: “l’inizio è scritto molto male”. Di Wagner, Richard Strauss, Victor Hugo, “indiscrezione dei mezzi e monotonia degli effetti, fastidiosep insistenze, insincerità integrale” – il tutto propoziato dalla “Salomé” di Strauss, “esecrabile musica romantica, di una retorica orchestrale da farvi amare Bellini”. Marinetti, ricco e vanitoso, incontenibile, protetto dalla mancanza di talento, che gli consente tutte le audacie. D‘Annunzio, fisico e poetico, tutto in poche righe. Bizzarro a volte: “L’ammirazione delle montagne è un’invenzione del protestantesimo”. Di Oscar Wilde dice qui meno di quanto potrebbe. Salvo ribadire che è a lui, che gli criticava il teatro, che Wilde pensieroso famosamente confidò (ma non l’avrà detto anche a qualcun altro?): “Ho messo tutto il mio genio nella mia vita, non ho messo che il mio talento nelle mie opere”. C’è Marx illeggibile – “negli scritti di Marx, soffoco”. Con un’anticipazione, l’estate del 1937, dopo la delusione del viaggio a Mosca, del Marx in chiesa, di sacrestia – del marxismo elevato a ortodossia.
C’è l’adesione al comunismo, nel 1934-1936, tornando da Berlino, fino al pamphlet “Ritorno dall’Urss”. C’è anche, pur nella sconfitta vergognosa della Francia, un Hitler “geniale” nelle strategie, politiche prima che militari – dividere gli Alleati, illuderli, eccetera. Qua e là letture a sorpresa, occasionali: di Defoe (“Colonnello Jack”), Conrad, Meredith, Steinbeck, “La battaglia”, Jane Austen, Colette. Un’analisi stilistica fa di Colette in poche righe inarrivabile. Anche di Proust, quando infine, nel 1939, legge “completamente” il primo volume, “Le fanciulle in fiore” - ne individua e sintetizza in poche righe i principi costruttivi: dettaglismo e architettura.
Col desiderio, più o meno esplicito, di “filarsela tra i negri; trovare un luogo dove poter sorridere in libertà” – “vivere a lungo tra i negri nudi, gente di cui non sapere la lingua e che non saprebbero chi sono: e fornicare selvaggiamente, silenziosamente, la notte con n’importa chi sulla sabbia….”. Con la malinconia costante negli anni, fin dalla prima maturità, di avere scoperto il desiderio tardi.
Malinconia anche del primo intellettuale contemporaneo - cioè, per l’esattezza, del Novecento: prima di Sartre, e Foucault.
Un “Diario” pensato e scritto per la pubblicazione (varie parti di esso furono pubblicate in vita, curate dallo stesso autore): ci sono i possessivi, “la mia giovinezza, i “miei  amici”, la redazione è netta, “finale”.
André Gide, Journal, Folio, p. 457 € 9


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