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lunedì 13 novembre 2023

L’apprendistato africano di Blixen-Dinesen

Un libro de chevet, riposante per i momenti di riposo. Divagazioni sulle occorrenze della vita: i progetti, i problemi, il credito, il debito. Condite da riflessioni sui temi che occupano la fantasia: l’amore, l’abbandono, la solitudine, l’entusiamo, la delusione. Nelle lettere che Karen Blixen, non ancora “Isak Dinesen”, in Africa o in viaggio dall’Africa all’Europa e viceversa, inviava ai suoi familiari, soprattutto alla madre Ingeborg e al fratello tuttofare Thomas. Una corrispondenza che è anche l’apprendistato della sua futura attività di narratrice - e di cultrice dell’immagine - invece che di farmer baronessa, nella cornice anglicizzante del Kenya coloniale.
Dal 1914, prima della Grande Guerra, al 1931, quando la sua farm africana fallì, la baronessa danese Karen Blixen decise di vivere sull’altopiano kenyota, dal clima più spesso brumoso come a casa, un’esperienza da castellana, una che innamora e comanda, illuminata e rispettata, su Kikuyu sparsi, Somali, Masai, sui leoni e gli sciacalli. Come, si dirà poi, da scrittrice famosa,  “una snob eletta da Dio”, di “indomabile amore per la grandezza, che è stato «il mio demone»”. Un’esperienza che, scorrendone le lettere, ne ha mutato le prospettive, e il carattere. Ma lontana dallo stereotipo del futuro “La mia  Africa”, del libro e del film – le foto che corredano il volume, numerosissime, si aprono con un ritratto di Karen nel 1913 diverso: un viso tondo, uno sguardo complice e malandrino, non l’affilata altierezza di Meryl Streep, che la impersona nel  film.
La corrispondenza è naturalmente appesantita dalle vicende biografiche - o alleggerita, se si sta al gossip: problemi finanziari ricorrenti, e rapporti personali per lo più problematici, col marito Bror Blixen, poi divorziato, e col maggiore pilota Denys Finch Hatton, col quale la relazione fu intesa (poetica), entusiasta e tormentata, anche da una maternità non voluta, quindi abortita, che presto morirà  in un incidente, lasciandola sola, e con i creditori alle calcagna. Ma le vicende sono vissute con spirito leggero, la futura narratrice veleggia al di sopra delle macerie – se non fu un’incapacità di vivere la vita “reale”, degli affari, le stagioni, le piogge, la siccità, i raccolti, le anticipazioni, i mercati. Sempre curiosamente ispirandosi, come incarnandola, a Freja, che evoca, la divinità nordica di tutto ciò che è vita, amore, bellezza, anche nella guerra e la morte.
Un volume di oltre 2.500 lettere. Tutte fitte di cose, alcune molto lunghe. Curate, come per la posterità, anche negli aspeti più casuali o marginali. Come se gli anni dell’Africa fossero un apprendistato, un esilio volontario in ambiente esotico per meglio affinare l’arte del racconto – raccontarsi una vita propria mentre se ne vive un’altra, quella materiale, anagrafica.
Un volume messo assieme da Frans Lasson nel 1982, con l’aiuto di Thomas. Ottimamente curato da Bruno Benni, specialista solitario della letteratura danese, da Andersen in qua.
Isak Dinesen, Lettere dall’Africa. 1914-1931, Adelphi pp. 488, ill. € 28

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