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giovedì 16 novembre 2023

Letture - 537

letterautore


Corrado Alvaro
– Progettava un poema di diecimila versi, che non portò a termine (e di cui si sono perse le tracce anche negli inediti?). Ne parla in un’intervista nel 1935, e in due lettere a Valentino Bompiani, in qualità di editore, nel 1938 e nel 1939.


Autofiction
- “Il più bel cielo stellato ci appare vuoto, se visto attraverso un cannocchiale rovesciato”, Georg Christoph Lichtenberg, D 469.


DanteSu “Dante e l’islam” stabiliva il giusto criterio Umberto Eco in un articolo su  “l’Espresso” il 18 dicembre 2014, un commento alla riedizione Luni della ricerca di Asìn Palacios. Di cui molto apprezzava l’erudizione, e la “scrittura piacevole”. Eco dà molto credito a Maria Corti, la filologa di Pavia “che molto si era battuta per riconoscere la presenza di queste fonti mussulmane nell’opera di Dante”. Ma dopo avere spiegato l’intrico di conoscenze in quei secoli, malgrado le guerre tra cristiani e mussulmani. Ed elencato in dettaglio una serie di probabili altre fonti – oltre quelle, compreso Brunetto Latini che di D ante era stato maestro, che avevano tradotto o comunque mediato i acconti arabo-mussulmani. Una piccola parte di “molte visioni medievali, dove si raccontava di visite ai regni dell’oltretomba. Sono la “Vita di san Macario romano”,  il “Viaggio di tre santi monaci al paradiso terrestre”, la “Visione di Tugdalo”, “sino alla leggenda del Pozzo di San Patrizio”.
Dio, patria, famiglia – È un motto mazziniano. Laico – di sinistra?

Manzoni - Fu linguista, di rara perspicacia, oltre che storico e moralista (filosofo) – e naturalmente quello per cui è celebrato, poeta, drammaturgo (tragediografo), romanziere. Una lettera da lui inviata l’11 luglio 1843 allo storico francese Jean-Joseph Poujoulat che preparava una “Histoire de Saint Augustin”, da Poujoulat pubblicata in appendice alla prima edizione del  libro l’anno successivo, fa chiarezza con sicuri criteri che “Cassiciacum”, il luogo lombardo dove Agostino si trasferì con la famiglia da catecumeno cristiano, per prepararsi al battesimo, era l’odierno Casciago,  e non Cassago – come allora si pretendeva, e si ancora si pretende. Contestato subito da un monsignore della Biblioteca Ambrosiana, Luigi Braghi, Manzoni scomparve dalla riedizione dello studio di Poujoulat. Ma la lettera resta –la recupera Gianni Santucci “La Lettura” di domenica 12: “Difficile credere che la desinenza in ago…, alterazione naturale di acum, abbia potuto sostituirsi a iciacum, facendo sparire una sillaba di suono così marcato”. Nel passaggio dal latino al volgare, argomenta Manzoni, ago sostituisce acum o agum, iacum o iagum, ma non erode la consonante precedente. E fa gli esempi, di Biliagum diventata Bellinzago e non Belago, di Ambrecianum diventata Imbersago e non Imbrago. Da qui il percorso Cassiciacum-Cassiciago-Cassciago-Casciago: “Non vi sarebbe stato altro mutamento che la semplice soppressione della i: cosa abbastanza ordinaria nel milanese”.

Narcisismo - È sigillo dell’epoca, Willy Pasini. “Diventeremo tutti fluidi?” chiede allo psicoterapeuta Candida Morvillo sul “Corriere della sera”. Risposta: “Si va in questa direzione, che non è fluidità ma narcisismo: oggi, conta il desiderio, che parte da Sè, l’oggetto d’amore è intercambiabile”.

Piacere – Quello sessuale è solo naturale, conclude il fisico pensatore Lichtenberg: “La rete divisoria tra piacere e peccato è così sottile che anche la corrente del lentissimo sangue di un settantenne può infrangerla. E allora? La natura vuole allora ciò che non vuole? O la ragione pensa ciò che non può pensare? Follia!” B 334.
“Se la natura non avesse voluto che la testa desse retta alle esigenze del basso ventre, che bisogno avrebbe avuto di collegare la testa con il basso ventre?” B323 – “questo, senza fare propriamente ciò che si chiama peccato, avrebbe potuto satollarsi e accoppiarsi a sazietà, mentre la testa, senza il corpo, sarebbe stata libera di costruire sistemi, fare astrazioni e, senza vino e amore, cantare e chiacchierare. Avvelenando i baci, la natura ha fatto molto peggio dei nemici che, in guerra, avvelenano le frecce”.
 
Repubblica ideale – “Nella Repubblica dei dotti ognuno vuole comandare: non vi sono capi e questo è male. Ogni generale deve per così dire preparare il piano, montare la guardia, ramazzare e andare a prendere l’acqua. Nessun vuol dare una mano all’altro”, G.F.Lichtenberg, “Lo scandaglio dell’anima”, D 483.
 
Rubens – “Too much meat!” era il commento anonimo sui muri esterni di una mostra a Anversa   -qualche decennio fa, del pittore ora celebrato a Roma e Mantova, oltre che a Genova - troppa ciccia. Su”Robinson” Melania Mazzucco ne celebra la ricerca della bellezza e della classicità, ma in fatto di figure femminili dipinge soprattutto poignets d’amour  e celluliti.  
 
Serie tv – Sono il nuovo romanzo popolare per Carlo Verdone, che esemplifica (nella presentazione al libro di Mario Sesti, “Le 250 serie tv da non perdere”) citando “I Soprano”, “Mad Men” o “Il trono di spade”, e li appaia a Dickens. Altrettanto fluviali nell’esperienza “binge whatching”, la visione di seguito delle serie, invece che a puntate. E James Gandolfini (“I Soprano”), Michelle Dockery (“Donwnton Abbey”) o Vanessa Scalera (“Imma Tataranni”), attori non specialmente identificati prima della serie, con essa di colpo divenuti “una presenza familiare per chiunque”. Come i personaggi del “Copperfield”, sottinteso, o del “Canto di Natale”.
Dumas naturalmente si può aggiungere all’elenco dei “seriali” ottocenteschi, forse Salgari, il Victor Hugo dei “Miserabili”, l’Eugéne Sue dei “Misteri di Parigi”. E ricordare che erano romanzi quasi tutti a puntate, seriali, scritti appositamente per reggere il fondo pagina del quotidiano, legandosi senza problemi per il lettore con la puntata precedente e con quella seguente.
 
Tutto, secondo Verdone, assommano le serie tv. Anche i progetti incompiuti dei grandi registi del passato, “da Buñuel a Fellini, da De Sica a Kubrik, da John Ford a Sergio Leone”, che “hanno sempre, in sordina, lamentato le dimensioni limitate” del fil in sala, “quelle (quasi) due ore (o poco più” di proiezioni. E le “forme e stili del racconto e del linguaggio cinematografico che per certi versi appartenevano alla sua archeologia: il flashback…, il montaggio alternato…, il cliffhanger”. E la reinvenzione dei titoli di testa. Un’ubriacatura.
Verdone non mette nella serialità-romanzo popolare il personaggio eponimo del genere, lo Zingaretti-Montalbano, che è anche l’identificazione più radicata: c’è un perché?
 
Suicidi – Nelle lettere e le arti sono, possono essere, “performativi”, un fare dopo tanto immaginare e scrivere? Leonetta Bentivoglio rivisita i suicidi di Anne Sexton, maga-strega della poesia americana di metà Novecento e della sua “amica-rivale” Sylvia Plath, giovane madre di famiglia e lady cooptata dell’upper class britannica, entrambe allieve di Robert Lowell, “fondatore della «poesia confessionale»”, come forme di teatro: “Mentre Sylvia infilò la testa nel forno dopo aver preparato accudenti tazze di latte caldo per i suoi bambini (suicidio da presepe domestico), Anne, più provocante e diva, si spogliò nuda, indossò una pelliccia della madre, brindò con un bicchiere di vodca, e si fece divorare  dal monossido si carbonio in garage (suicidio da femme fatale)” – “Anne Sexton, scandalosa strega”, “Robinson”, 12 novembre. Anne, “scandalosa e promiscua”, alle lezioni da Lowell “si presentava ingioiellata, impellicciata, truccatissima e ubriaca”.


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