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martedì 17 agosto 2010

Letture - 37

letterautore

Borghese – La letteratura non è borghese, la poesia, la lettura sì. Borghese è ciò che produce. Anche lo svago in certe forme. E anche la letteratura, senza residui – indizi, tracce, ombre, anche solo linguistiche.
Thomas Mann è quello che vuole dare corpo letterario – poesia – alla borghesia. Con la prudenza, l’accortezza. Anche Proust. Al rovescio di Balzac, che invece la borghesia notariava (inventariava), per come è.

Dante - Molte figure rimandano al “Libro delle figure” di Gioacchino da Fiore.

Decostruzione – È al potere ormai da due generazioni. Ha prodotto solo macerie. Quanto può durare?
È europea. Gli altri, Fukuyama, Sen, le University Press americane, se ne giovano – alla toscana: le incoraggiano ma se ne guardano. È un jeu de dupes, a chi fa fesso chi?
È la globalizzazione europea, francese. Un calarsi le brache, per esibizionismo. Un vizio intellettuale. Si capisce che il mondo, la poesia compresa, sia amerikano.

Editoria – Boicotta la letteratura che dice di servire (in base al principio che la moneta cattiva scaccia la buona). E se ne serve.
Quando è al meglio, segue il mercato – il direttore di collana non legge i libri che pubblica, e propaganda. Né c’è un editore che abbia “fatto” un autore o un’opera.
Anche la morale pratica è per l’editore di mercato, contano i soldi. Garzanti è diventato primario editore comprando nel 1938 Hoepli a prezzi di saldo, grazie alle leggi razziali. Bompiani è cresciuto pubblicando “Mein Kampf” in italiano, un successone.

Ermeneutica – Il ritorno della filologia, sottoprodotto nobilitato dal crollo del Diamat, l’ineffabile purismo sovietico. Si torna a prima della “Nascita della tragedia greca”, 1872.

Kafka – Ernst Bloch (“Thomas Münzer teologo della rivoluzione”, p. 163) lo dice calvinista. Avveniva nel 1921, data di uscita del “Münzer”, prima quindi dell’avocazione di Kafka all’ebraismo, ma non è male: “I romanzi di Kafka avvengono al margine di una trascendenza di cui non si può saper niente se non che viene tenuto un libro e sarà emesso un giudizio; a loro appartiene, lungo un sentiero costantemente presente e costantemente impraticabile che conduce a Dio, tutta la paura delle predestinazione calvinista”. Lo stesso, continua Bloch (p.165), che la “dipendenza” di Kierkegaard quando dice: “L’edificante del pensiero è che di fronte a Dio abbiamo sempre torto”.

D.H.Lawrence – Non è vero che le gentildonne lo fanno meglio col guardiacaccia - se lo fanno, è per distruggersi (colpevolizzarsi). Il sesso lo fanno dall’alto in basso solo gli uomini: per questo la prostituzione, anche maschile, si vuole femminile.

Manzoni - Al romanzo mancano le donne.
Anche gli uomini, per la verità: o caricature, o chiachiella. O pervertiti, fra’ Cristoforo compreso.

Neorealismo - È la piccola borghesia all’assalto: i mezzi sentimenti, le false innocenze, l’ipocrisia costante che dominano la scuola, le arti, le lettere, l’opinione pubblica, e dopo Mani Pulite anche la scaltra politica. Cui si abbarbica la borghesia che si nega, fingendosi povera, di denari oltre che di spirito, ignorante, lacrimosa, tignosa sotto il verbo solidaristico, avida di soldi pubblici, anche pochi, e sempre ben vestita, ben bevuta, ben mangiata. Altrove – in Europa anche a sinistra, e nella sinistra la stessa Cuba – si fanno film, canzoni, balli, sceneggiati, romanzi, su tutti i sentimenti e su tutte le couches sociali, con i personaggi più diversi, i visi, le espressioni, l’abbigliamento, le maniere, l’eloquio, le attese. Qui è da sessant’anni la stessa trama, di smorfiose smunte che si mangiano le parole mentre s’immaginano di suscitare colossali erezioni – lo spettatore dovrebbe immaginare molto – e di uomini brutti che guardano di tre quarti, un po’ affannati anche se non hanno corso, per darsi consistenza retro. Lo stesso nelle cronache: va in scena solo il risentimento, o invidia sociale, camuffato da buon sentimento, il riscatto dell’umanità, della fame nel mondo, dei bambini abbandonati, dei cani.
Da qui anche l’opprimente antiamericanismo, l’opprimente antimagia, l’opprimente anticristianesimo. Perfino l’antiberlusconismo è opprimente, a parte le furbate della politica. La piccola borghesia prospera delle cause perse. In cui cioè essa vince, con l’America, la mafia, i preti, e perfino con Berlusconi, ma può lamentarsene. Poi si dice perché non c’è il socialismo. Perché non c’è, non c’è più, e non dalla caduta del Muro e da Mani Pulite, un partito del lavoro o dei poveri – in questo Berlusconi è un reagente rivelatore: il fronte dei suoi nemici è pieno di vermi, basta passare alla libreria Feltrinelli durante una qualsiasi campagna elettorale, dove costituisce settore a parte, forte di una cinquantina di titoli, se non di un centinaio.

Prefazione – A se stessi è un gesto di disprezzo: se, dopo aver scritto trecento pagine, se ne aggiungono dieci per spiegare cosa si è voluto dire. Per aggiornare il lavoro, certo, ma a questo basterebbe una nota editoriale.

Quella a se stessi nasce da una singolare indigenza della filosofia, che la verità stia in qualche parte. Dietro la parvenza di ricostruite il proprio percorso “spirituale”, o di spiegarlo, di storicizzare, la prefazione a se stessi è in realtà attorno a ciò che è “ancora” vero (vivo, buono) di quanto s’è ponzato e scritto. In rispetto a una Verità Ultima che è invece quella del momento, come guardarsi allo specchio.
Gli editori la vogliono perché “attualizza” il testo, lo fa buono da vendere a ogni stagione. Ma che l’autore vi faccia l’esame di coscienza, questo è ridicolo. È incolto, o infantile: il volersi perfetti.

Parole – Non tradiscono mai, sempre dicono.

Romanzo - È forma democratica: si fa con la vicenda, ogni personaggio è quello che vuole essere, libero di scartare a ogni riga, a ogni parola.
Se è forma borghese, è la borghesia forma democratica?

Scrittore – Lo scrittore scrive, senza residui. Altri devono allargarsi prima di operare, curare, ostruire, insegnare, dopo avere elaborato una serie di conoscenze tecniche specifiche, non necessariamente legate all’attività che vanno a esercitare. Altri fanno molte cose: l’ingegnere progetta, costruisce, controlla, gestisce, il giurisperito accusa, difende, giudica, indaga. Lo scrittore scrive, senz’altro – farà pure i gesti cui Barthes lo confina, ma a scopo apotropaico. L’artigiano si esprime – si qualifica – ricorrendo a diversi qualificativi: il falegname taglia, intaglia, lucida, squadra, eccetera, il meccanico ripara, sostituisce, controlla, prova. La scrittura trova la sua chiave in sé.

Shakespeare – A leggerlo, a volte è astruso, e anche irritante – per le agudezas, i marinismi, l’eccesso (barocchismi). Ma a teatro, coi tempi della dizione e dei movimenti di scena, funziona sempre.

Tolstòj - Appassionato pedagogo, non era buon padre. Come Rousseau, altro pedagogo appassionato. La pedagogia supplisce dunque la paternità?
Il conte, che ne fece tanti, i figli lamentava che lo rendessero “più vulnerabile”. Non lo rafforzavano, lo indebolivano: perché non poteva essere più figlio, monopolizzare l’attenzione, all’amplesso dare il senso dell’incesto?

letterautore@antiit.eu

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