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giovedì 20 ottobre 2011

Freud è Nietzsche, ma vince la partita

Uno sfogo, prolisso, di cattivo umore - nel pur consistente cattivo umore dell’autore, già segnalato contro Dio, la filosofia, la sinistra, e per la pugnalatrice Charlotte Corday. Contro un obiettivo facile facile. Onfray vuole Freud un filosofo fallito, e un onanista, incestuoso, con la madre, la cognata (cinquantenne), la figlia (e perché non pedofilo?), bugiardo, arrivista, plagiario, sotto la forma della criptomnesia graziosa, di Nietzsche, Schopenhauer e altri. Lungo 500 pagine, oltre 600 nell’originale, con argomentazioni ripetitive. Il pamphlet dimezzato non avrebbe perso nulla, o ridotto a un terzo, ma si vede che tutto ciò che riguarda Freud e la psicanalisi deve andare dalle mille pagine in su, dalle agiografia di Jones e Gay ai “libri neri” (questa chiave è sfuggita a Onfray...). L’ultimo capitolo, la “Bibliografia” ragionata, prova da sola tutto il libro, anche con una certa serietà. Il penultimo capitolo, la “Conclusione”, dice che il meglio di Freud è Nietzsche. Tema dell’opera è infatti “come Freud illustra la tesi di Nietzsche in virtù della quale ogni filosofia è confessione autobiografica dell’autore” – e gli altri scriventi, storici, poeti, romanzieri, che fanno? Il lettore italiano, che non si perde nulla della versione originale anche nella ridotta foliazione, ha diritto a un terzo, semplice, capitolo finale in forma di appendice, una biografia “ragionata” di Freud e delle sue magagne che risponde alle stroncature.
Una goduria per i tanti antipatizzanti. L’ateologo Onfray rimprovera a Freud pure la delegittimazione della religione. Ma il demolitore è di malumore già prima di affrontare Freud. I salesiani del suo collegio alle medie dice “tutti pedofili”. L’insegnamento della filosofia all’università di Caën trent’anni fa riduce a un professore che veniva da Parigi due ore ogni due settimane, una volta su due, quindi una volta al mese, e nelle due ore compulsava l’orario del treni, perché era membro del Direttivo del Comitato Centrale del partito Comunista Francese (ve ne possiamo rivelare il nome, Guy Besse – ma chi era costui?). Dopodiché resta il fatto, ineliminabile, indistruttibile, di Freud e il freudismo recepiti come liberatori, seppure a opera di un levita messianico, falso quindi e bugiardo, e di una casta presto sacerdotale: una necessità, la liberazione del corpo e della sessualità, come per certe religioni. Ma questo l’ha già detto, in breve, Wittgenstein: Freud, per demitizzare il mondo, ha aggiunto miti ai miti - nella nuovissima categoria del “mito scientifico”. Onfray si cautela al penultimo capitolo, dove dettaglia cinque ragioni del successo di Freud, di cui quattro caduche: il freudo-marxismo (Reich, Marcuse), col suo forte potere d’interdizione, la pulsione di morte che ha segnato il Novecento, la secolarizzazione, l’organizzazione militante, “paolina”, della chiesa freudiana. La quinta è la liberazione della sessualità.
L’attacco critico si disperde come lo stesso monumento che attacca, il conglomerato freudiano. Al § “Genealogia” Onfray ironizza sui lapsus nella “Psicopatologia della vita quotidiana”. Rilevandone uno che Freud fa doppio in risposta a un critico americano di “Totem e tabù”, per il quale l’uccisione del padre, capo dell’orda primitiva, seguita dal banchetto cannibalico del morto da parte dei figli, era “solo una storia”, una delle tante possibili e non un “mito scientifico”. Freud chiama Kroeger uno che invece si chiama Kroeber, avendo dimenticato che l’autore della critica è un altro, Robert Ranulph Marrett. Che però Onfray, dieci righe più sotto, chiama Robert Ranultp Martett… Questi puntini di sospensione sono peraltro tutto il dossier di accusa. Con essi Onfray vuole sottolineare le reticenze, le omissioni e le cattive coscienze del freudismo, ma... con altre allusioni. Il monumento a Freud ha bisogno di altri demolitori.
Restano gli “a parte”. Un saggio fulminante su Sartre, in diciotto righe della “Bibliografia”, quale specialista dell’incompiutezza (inachèvement), nelle 1.500 pagine su Baudelaire, Genet e Flaubert, sulla base della “psicanalisi esistenziale”, non freudiana, abbozzata in “L’essere e il niente”, IV parte, cap. 2, primo sviluppo. Il rapporto di Freud con Roma: da cartaginese, anzi da Annibale, vendicatore del padre Amilcare e di tutta la città semita. Lo stesso rapporto di Freud con Fliess, due numerologi fantasisti, quarantenni fancazzisti, prima di litigare sulla primogenitura della bisessualità, finalmente rivelato dalla pubblicazione integrale delle lettere nel 2006, seppure solo di quella scritte da Freud.
Michel Onfray, Il crepuscolo di un idolo, Ponte alle Grazie, p 482, € 22

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