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martedì 7 aprile 2015

Bello e vincente, può barare al quiz

È morto l’altro mese centenario l’avvocato Rubino, nato di genitori siciliani, che a fine 1959 aveva difeso con successo Charles Van Doren in un famoso scandalo di quiz televisivi truccati. Una vicenda che Robert Redford ha recuperato vent’anni fa in questo film ancora appassionante.
Lo scandalo è ricordato da Hannah Arendt nella sua disamina della questione etica (“Alcune questioni di filosofia morale”), come caso esemplare dello spiazzamento molto personalistico dell’etica stessa:  il pubblico era per il truffatore – la filosofa dice il caso scandaloso per almeno tre motivi: carpire la buona fede degli ascoltatori, farlo da intellettuale, farlo da insegnante. Charles Van Doren era specialista di letteratura inglese, che insegnava alla Columbia. L’università dove il padre, poeta premio Pulitzer, era già professore - un quarto motivo di scandalo Arendt avrebbe potuto aggiungere: negli Usa non sta bene che il figlio faccia carriera col padre. Mark Van Doren, il padre, non fu tenero col figlio, cui si indirizzò con Shakespeare, secondo Redford, “Misura per misura”: “Alcuni si elevano per il peccato e altri per le virtù cadono”. Ma il figlio fu ricco, assolto e, si presume, felice.
Nel film viene denunciato da Turturro, in qualità di ebreo povero del Queens. Un Herbie Stempel  che nel quiz “Twenty One” della tv Nbc viene fatto vincere per alcune puntate. Se non che il build-up dello sfigato non ha presa, e Stempel viene mollato, in favore di concorrente-personaggio agli antipodi, biondo e anglosassone, il tipo wasp: Charles Van Doren, che è anche professore. Stempel faceva calare gli ascolti, Van Doren li rilancia, per 14 puntate è un crescendo d’interesse.
Stempel non ci sta e spiega che il quiz è truccato. Il Grand Jury di Manhattan che esamina il caso non gli crede, anche sulla testimonianza giurata di Van Doren. Un ispettore del Congresso, invece, Richard Goodwin, che figura tra i produttori di Redford, crede a Stempel e porta il caso a una commissione parlamentare d’inchiesta. Ma senza Van Doren. Che d’accordo con lui si fa eliminare dal quiz, dal quale comunque esce con la vincita record di 64 mila dollari, che allora suscita enorme impressione.
Stempel però non ci sta, e alla sottocommissione del Congresso che indaga denuncia anche il concorrente: “Come me”, dice, “anche Van Doren avrà le risposte truccate”. Van Doren chiede allora di testimoniare, e si accusa dei fatti contestati. Redford gioca il film sulle due umanità, quella del perdente che intristisce e incattivisce, e quella radiosa del vincente che passa sopra a ogni disgrazia. Il Congresso infatti apprezza la testimonianza e glorifica Van Doren invece di punirlo. Carl J. Rubino, un ex Procuratore pubblico di New York, al suo debutto come avvocato, aveva consigliato il trentatreenne studioso e l’aveva accompagnato al Congresso. A questo punto il Grand Jury di Manhattan, offeso, intende rifarsi e condannare Van Doren a tre anni di prigione per falsa testimonianza. Ma Rubino, di nuovo, convince il giudice che lo presiede, Edwad Breslin, che il giovane professore ha già “sofferto abbastanza”, e con questa motivazione la sentenza viene sospesa.
Robert Redford, Quiz Show

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