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venerdì 19 agosto 2016

Il superlatitante corrispondeva con i servizi

Le lettere prendono una trentina di pagine, Salvatore Mugno provvede al resto. Una corposa introduzione e una lunga vita del personaggio, circostanziata, che si legge come un romanzo – anche se di personaggio a una sola dimensione, il sangue degli altri.
Mugno dubita dell’autenticità delle lettere – anche noi, ogni lettore. Ma non dice l’ovvio: non le avrà scritte il destinatario? Destinatario è un “professore”, forse di Filosofia, forse di Lettere, che forse non lo è, lo è la moglie, ma si compiace di farlo credere, Tonino Vaccarino, compaesano del latitante, noto eccentrico di Castelvetrano, di cui pure è stato sindaco per un anno, con una spessa fedina penale.  Da ultimo riciclatosi – qui il papocchio è evidente – come informatore dei servizi segreti, dell’Aisi.
“Alessio”, così si firma Matteo Messina Denaro, sa molto di anagramma, dell’Aisi stessa, e di assioma, termine che usa spesso, spesso non congruamente. Oltre che all’assioma il latitante si compiace di riferirsi a Malaussène-Pennac, Toni Negri e Jorge Amado. Insomma, uno scherzo, quasi. Denaro è uno scrittore compulsivo di lettere, i suoi “pizzini” al capomafia Provenzano erano lunghi pagine, dettagliati e prolissi. Di tale natura che Camilleri ebbe a dirlo nel 2007, nel libro “Voi non sapete”, sulla corrispondenza fitta di Provenzano, “il latinista del gruppo”. Ma corrispondere con una spia per un furbo superlatitante è troppo, e in che termini poi, poco meno che se si rivolgesse a un dio. La prosa di Vaccarino – che La Licata ha variamente immortalato sulla “Stampa” – è peraltro della stessa pasta.
Un vero dramma siculo, alla Pirandello, in cui ognuno è non si sa chi. Lo stesso Mugno, buon siciliano, non si priva di evocare Cellini, Caravaggio, Stradella come precedenti in fatto di “binomio artista-criminale” – c’è qui un artista? – e Villon, Genet, Gregory Corso, “fino a certi nostri autori  contemporanei coinvolti in vicende omicidiarie: Massimo Carlotto, Adriano Sofri, Cesare Battisti….” E qui è evidente che in Sicilia qualcosa non funziona – anche se non può essere il sangue, come vuole Virgilio Titone, il polemista, anche lui di Castelvetrano, il riferimento di Mugno (il sangue? Castelvetrano ha imponenti palazzi e chiese, quella di san Domenico ricca di affreschi, “come la Cappella Sistina”, e di un complesso vertiginoso di statue, nonché Selinunte, e tuttora è un centro produttivo di prim’ordine, per l'evo pregiato Nocellara del Belìce).
Massimo Onofri successivamente a questa pubblicazione ne ha avallato la veridicità. Ma il ridicolo della corrispondenza – a maggior ragione se le “lettere a Svetonio” le ha scritte o fatte scrivere Matteo Messina Denaro – svuota il terribilismo della mafia. Che è terribile solo nel tiro a segno, o nel plastico, a tradimento, mai a viso aperto, per il resto è sopraffazione, furfanteria e stupidità. E sicurezza di sé, soprattutto, quasi in regime d’impunità. Il superlatitante che si dice un perseguitato – vittima della mafia, a suo modo, anche lui – è un topos ricorrente, ma in questo caso perfino argomentato. O stava trattando con “Alessio” la resa, con i beni – una parte dei beni – in libero uso ai familiari, come con i familiari di Provenzano
La vita-romanzo di Denaro prima della lunga latitanza, ormai di venticinque anni, è semplice e fantastica. È figlio di un mafioso, conosciuto per tale, che la famiglia, moglie, figli, nipoti, ogni anno onora sul “Giornale di Sicilia” con un necrologio molto sentito – per un paio d’anni, quelli di questa corrispondenza, con estratti di Lucrezio in latino. È autore di almeno cinquanta omicidi,  a partire dai diciotto anni – e probabilmente dei dieci morti e 106 feriti degli attentati del 1993 sul continente, ai Georgofili e gli Uffizi, a via Palestro a Milano, a san Giovanni in Laterano e a san Giorgio al Velabro. Ma fino ai trenta sconosciuto, comunque non perseguito. A tempo perso faceva il gigolò – oggi toyboy – con altri coetanei di ricche signore di mezza età di Palermo. Con molte amanti giovani strafiche, tra esse un’impiegata austriaca dell’Hotel Paradise Beach, di cui farà uccidere il mite gestore, che scherzava sulle sue imprese amatorie.
Latitante dal ‘93, da quando infine è stato “scoperto”.  Ma non senza lasciare tracce, benché inafferrabile: si sa che è stato in una clinica oftalmica in Spagna, e in vacanza con gli amici al Forte dei Marmi, assiduo di un bagno “Rossella”. Il padre percepiva l’assegno di disoccupazione dell’Inps, e poi la pensione. Scherzando, naturalmente, non si può affermare che i Denaro si nascondano.
Un interrogativo comunque va posto: perché dire che “Svetonio”, al secolo Tonino Vaccarino, l’unica cosa certa di questa corrispondenza, era dei servizi segreti, se lo era? Le liti tra i corpi separati, polizie speciali, servizi, giudici, importano più del superlatitante?
Matteo Messina Denaro, Lettere a Svetonio, Stampa Alternativa, remainders, pp.,127, ill., € 6

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