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martedì 14 luglio 2009

Un partito di guitti, chiamato democrazia

Ignazio Marino, medico politicante, uno che si vanta di aver stroncato il chirurgo Marcelletti, che aveva ridato la vita a miglia di bambini, vuole ora distruggere il partito Democratico? Mentre si candida a prenderne la guida, lo accusa infatti di "proteggere" lo stupratore di Roma. Beppe Grillo pure: lui è sempre stato nemico del Pd, di Prodi, D'Alema, Fassino, Rutelli, Veltroni, e ora vuole anche lui dirigerlo. Sembra una gag. Poi ci sono Serracchiani, Adinolfi, e altri personaggi, che nessun o sa chi siano, ma che autorevolemnte interloquiscono nel dibattito congressuale. Tutte prime donne, piccoli mattatori, peprsone dale verità assoloute, tutte comprese nel loro cervello, dhe per altri versi non si segnala.
Sembra poco serio, anche se è democratico, e lo è. Poi c'è Di Pietro, che Veltroni ha elevato a capo partito e ora si divide equamente contro Berlusconi e contro i Democratici, a partire dal presidente Napolitano. Questo free for all non è occasionale, e denuncia lo squagliamento della sinistra - senza altro collante che le barzellette berlusconiane.
Questa alluvione, evento nel quale come è noto tutti gl stronzi vengono a galla, è nella logica delle primarie: chiunque può candidarsi. Primarie che a loro volta mascherano e non risolvono il problema di una politica plebiscitaria, raccolta attorno a questo o quel personaggio, che dei partiti e della politica tenta di farsi scudo, ma senza necessariamente apportarvi idee e voti. E' tuttavia incredibile lo sradicamento della sinistra, che non ha altra faccia o proposta che non sia legata al piccolo protagonismo del primo venuto. Lo stesso regime plebiscitario sanziona una destra robusta, malgrado la debolezza del suo capo, e dunque il difetto non è - non tutto, non primariamente - nel regime politico. Il problema è che il partito Democratico è residuale, è una serie di resti, incollati malamente: i resti di Berlinguer, i resti dei laici, i resti dei vescovi. E anzi di una serie di fallimenti, che la protervia maschera ma non esorcizza, al Sud, al Nord, tra i pensionati e i lavoratori, in famiglia e fuori, con lo Stato, col mercato (quanti patrocini abominevoli!), con l'idea stessa di politica.
A questo punto non c'è soluzione: anche lo scioglimento del Pd nei due o tre tronconi originari, socialista e confessionale, con un terzo eventuale gruppone lasico-radicale, non risolve. Sono formazioni che non avranno peso politico se non in nun nuovo Ulivo, di cui però, a questo punto, mancano i presupposti. L'antiberusconismo ha sorretto Prodi, ma ora ci vorrà ben di più. La rifondazione della sinistra sarà lenta e difficoltosa, ripartendo non da zero, ma da una serie di conflitti, e senza personaggi nuovi, all'altezza - il divario tra Napolitano e questo Pd ne dà un'idea: il presidente sembra di un altro mondo.

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