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domenica 20 febbraio 2011

Salviamo Al Jazira – 3

(Riassunto delle precedenti puntate: nel sommovimento che rivoluzionò il Golfo nel 2018, l’Occidente si era mobilitato per salvare Al Jazira, in omaggio alla libertà di espressione).
Non tutta Al Jazira, si scoprì, era finita nel Sud dell’Europa, tra Roma, Marbella e Skyantos, rifiutata dalla Los Angeles che conta. La struttura dell’emittente, i direttori, i direttori pubblicitari, i direttori finanziari, i direttori dei programmi, e le loro grasse mogli con le figlie avevano evitato l’infida Svizzera, che quando sei in disgrazia ti espone alla persecuzione. Grazie al loro peso politico e patrimoniale, da tempo influente e rispettato nell’industria dell’immagine a Hollywood, avevano potuto occupare le magioni che da tempo avevano acquistato in città – una parte dagli eredi dello scià, una parte dai principi sauditi, o meglio dagli eredi degli ultimi principi finiti nella Grande Mattanza, che si trovavano a non far niente nelle università di Berkeley e Harvard, ma in questo modo erano rimasti in vita e ben dotati.
Questi reduci di Al Jazira conducevano a Los Angeles vita ritirata, a Bel Air e a Pasadena dove si erano rifugiati. Ma la vita riservata non poté durare a lungo. Una serie ripetuta d’inconvenienti costrinse i profughi a ricorrere alle autorità locali. Prima le donne, a una a una, poi scomparvero a gruppi di tre, uomini e donne mescolati, poi di nuovo a uno a uno, ma con più lenta efferatezza. Perché gli illustri profughi scomparivano nel senso che venivano uccisi, in lente operazioni documentate istante per istante da video professionali, di mano sicura, inquadrtire perfette, buona illuminazione. Le donne venivano scannate nude – molte di loro purtroppo non più ben tenute, malgrado la chirurgia e le fisioterapie. Dopo il corpo, la camera indugiava sui volti, mentre la lama prendeva le misure del collo. Dopo il colpo di mannaia, quando la decapitazione veniva completata coi coltelli, l’immagine dissolveva. Ma si faceva vedere il sangue che cola, e il colpo di mano torno torno dei macellai, e si facevano sentire i rumori, le ossa rotte, il fischio del polmone che si affloscia, i gorgogli. Le regie delle esecuzioni erano ripetitive, modellate su tecniche sperimentate da almeno vent’anni nelle immagini e nei tempi.
Il fatto fu d’altra parte presto pubblico, un mercato della mattanza essendosi creato, clandestino ma vasto. La Sunni Airdale fece il pieno, tutte le pay-tv del paese comprarono il programma. Prodotto a costi irrisori, quasi amatoriali: su format della stessa Al Jazira ai tempi d’oro, con personale qaedista a suo tempo addestrato alle esecuzioni, in studi minimi, poco illuminati, con telecamera fissa, manodopera volontaria, tempi eccezionali, mezz’ora di programma si produce in due ore, quasi in tempo reale, senza trattamento, sceneggiatura, piani di produzione, pre-produzione, montaggio, e con post-produzione ridotta. E fu il clou della stagione, con ascolti sempre record, anche in ripetizione, ace di tutti i piani pubblicitari.
Il lavoro maggiore fu da ufficio stampa: creare storie credibili attorno a ognuno dei giustiziandi, di ognuno sottolineare almeno un a colpa anti-americana, incastrare talvolta le singole esecuzioni quasi in un film a episodi. L’industria dei media, non solo la pay-tv, era peraltro partecipata dalla Sunni Bonus Fare, la finanziaria creata, col supporto federale, dagli emiri del Golfo, che anche loro erano dovuti fuggire, ognuno con le sue cento mogli e i mille figli, negli Stati Uniti, dove da tempo avevano indirizzato le loro ricchezze, dopo che l’asse Qaeda-Iran aveva preso possesso della regione.
(continua)

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