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lunedì 15 luglio 2013

Storia di Mancini - 2

Già nel governo dell’onorevole Moro, 1963-1968, i socialisti al governo erano indigesti. Volevano riformare e sapevano come fare. Uno dei più indigesti fu Giacomo Mancini, benché, autonomista da sempre, fosse uno dei più convinti sostenitori dell’alleanza con la Dc. Fino a Craxi e oltre, fino a che poté esercitare un ruolo politico. Ma si era fatto temere come ministro dei Lavori Pubblici, per la capacità realizzativa, e più quando, dopo le elezioni del 1968, chiese per il suo partito, il Psi, se non per sé, il dicastero delle Partecipazioni Statali. Non era un ministero come un altro, anche se i giornali e gli stessi storici faticano a capirlo, e lo sbarramento che subì fu fortissimo, da parte di Cefis, dell’Eni, della Dc tutta, dei suoi giornali, che allora erano praticamente tutti. E Mancini era il segretario all’epoca del partito Socialista.
Proviamo a ricordare la vicenda con Astolfo “La gioia del giorno”, il primo romanzo del ciclo “Anamorfosi”. Questo il prologo:
“Sul socialismo italiano … incombe l’epiteto di “lungo tubo” di Brandt, prezzolato, per via del gas russo da bloccare, e di “ladri”, dopo l’ennesima scissione. Il presidente Saragat, dopo la visita di Nixon e i viaggi dell’onorevole Lupis, si è ripreso i suoi socialisti. L’Ente è peraltro disturbato dal segretario del partito Socialista onorevole Mancini, che accampa, in procinto di tornare al governo, diritti di controllo sull’economia pubblica. Lo stesso si era segnalato per avversare la “duplice accoppiata” Ente-Montedison, accoppiata vincente a suo dire per il broker Dc. La reazione si vuole quindi vigorosa: l’Ente non è vassallo, i padroni politici li paga. Anche se la chimica ha aperto varchi nell’autonomia”.
Presto emerge uno scandalo Anas. Se ne parla, dai contorni non chiari:
“È uno scandalo scaccia-scandalo. Uno dei capi Montedison ha parlato. E ha detto che si sono riuniti Valerio per la Montedison, il Dottore e l’Ingegnere suo vice per l’Ente, Petrilli e Medugno per l’Iri, e Agnelli, Pirelli, Torchiani, Cuccia, i poteri degli affari, per stabilire che, “poiché all’Ente si fanno elargizioni ai partiti”, anche Valerio poteva disporre “in piena autonomia di una giusta quota di fondi neri”. Subito, prima di ogni altra decisione sul futuro di Valerio, di Montedison, e della chimica. Fondi neri o riservati, in frode fiscale, per tangenti e bustarelle. Per dare ragione forse alla Vita agra, dove già l’azienda di Ribolla, che ammazza i minatori per chiudere la cava, “apre a sinistra”. La corruzione emerge in forma di dura cresta in capo all’industria, dell’Ente compreso, e non ai margini, un’elemosina fra le tante, ma nel cuore delle strategie. Per tenerne fuori la politica.
Lo scandalo scaccia-scandalo
“Contro l’onorevole Mancini i candidi di destra e gli accattanti delle agenzie hanno montato in pochi giorni una campagna di efficacia sorprendente, tanto più per essere screditati e senza pezze d’appoggio. Al grido di “ladro! ladro!”, ingaglioffito dall’uso dei dialetti, “ladrùn!”, “lader”. Di che non si sa, ma dire di uno di sinistra che ha rubato è la fine: sono venuti da ogni parte a professare rispetto per l’autonomia degli Enti, scandalizzatissimi i democristiani, sinceramente preoccupati i comunisti, e anche i socialisti che non stanno con il loro segretario”.
Si apre lo scandalo Anas, implicandovi Mancini in quanto ex ministro dei Lavori Pubblici, nel mentre che si prepara quella che sarà la rivolta di Reggio Calabria:
“C’è bisogno di una Vandea, a ogni rivoluzione ne segue una. La Calabria ne ha fatte un paio, ha pure azzoppato Garibaldi, che l’onorevole Mancini rimuove, vantandola feudo socialista. La Vandea nel feudo socialista, c’è del genio. Per ora si rinnova l’arte dei dossier: un signor Pontedera afferma che i socialisti sono corrotti. Idea non male, anche questa, i socialisti, fra tutti, accusare di corruzione. Ha carte dal ministro Sacerdoti, il signor Pontedera, per quella che potrebbe essere la campagna antisocialista concordata negli Usa dall’onorevole Lupis. Altre ha ricevuto e riceve da un deposito sulla via Pontina, in uso all’Ente, il signor Pontedera è ubiquo. Se non è nome collettivo, ma nessuno se ne inquieta. Ora si materializza nel senatore fascista Pisanò, editore e direttore del voltairiano Candido, che l’attacco ambrosianamente traduce in “Mancini lader”.
Il ministro Sacerdoti è Preti, Brusconi deve intendersi Rusconi. Si parlerà di un Franco, che è da intendersi Briatico, uomo comunicazione dell’Eni, collaboratore stretto di Cefis – in futuro finanziatore amabile del “Manifesto”. Il giornalista Pecottini dovrebbe essere Pecorelli – anche lui aveva un dossier su “Mancini ladro”. Questi i particolari dello scandalo:
Mancini ladro
“Uno spruzzo di ladrocinio è vecchio trucco Gestapo: a Parigi sotto occupazione e anche a Roma i tedeschi, in uno con la malavita locale, fotografavano personaggi ricchi o eminenti con persone infrequentabili, puttane, lestofanti. Ma non è l’essenziale, non ci sarà condanna, il dossier è un’esercitazione. Sotto accusa con l’onorevole Mancini va un Dc, per copertura, un piccolo Dc che l’Ente ha già risarcito con una stazione di servizio a Santa Maria Capua Vetere e l’agenzia per la Campania, la quale dà titolo a un aggio pur non implicando alcuna attività. La tecnica del dossier vuole che al nemico si affianchi un amico minore: ciò evita il sospetto di persecuzione e nobilita l’accusa.
“Solo l’editore Brusconi, presentito dal ministro Sacerdoti, che è suo collaboratore nonché patrono, ha onestamente declinato la partecipazione alla campagna. Un dossier su Mancini spia dei russi è offerto dal giornalista Pecottini per quaranta milioni, che è cifra esosa, il doppio dello stipendio all’Ente del funzionario di fascia media, annuo lordo, e Metello ne è sdegnato. Metello ha già il dossier. Ma non può dirglielo, Pecottini capirebbe. Se non gliel’ha proposto provocatoriamente. È un ricatto – gran fastidio deve dare un ricatto al ricattatore, a meno che egli non sia violento. Nemmeno però può lasciare inaridire la campagna, un dossier ha bisogno sempre di nuove carte.
“Einstein ha elaborato e scartato un numero immenso di ipotesi prima di trovare le equazioni della relatività generale – che inizialmente aveva scartato. È la scienza stessa a suggerire una mimesi inventiva e perfino creativa. “Il fare precede il confrontare”, Gombrich l’ha argomentato persuasivamente. Ma non avendo l’iniziativa si procede per tentativi, scartando ipotesi, aggiustando le scelte, sul fare degli altri. I socialisti, dopo quasi un decennio di governo, sono fuori dal mondo. Volevano disarmare la polizia in servizio di ordine pubblico. E l’onorevole Mancini crede in Franco, il dominus invisibile dell’Ente, che gli racconta di epiche lotte contro il Dottore sulla Montedison, e di sordidi maneggi a suo danno di altri leader socialisti. Affonda sapendo che Pisanò è pagato per non continuare la pubblicazione delle carte - di quelle che non gli sono state consegnate. I socialisti le bevono tutte. I socialisti non esistono, diranno gli storici Ginzburg e Ginsborg, perché non sono organizzati, non secondo il “centralismo democratico” del partito Comunista. E i comunisti?”
(2. continua)

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