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martedì 16 luglio 2013

L’ebraicità è antisionista

L’ebraicità si vuole antisionista. Essere se stessi è uscire dal proprio guscio, e tanto più per l’ebraismo, il cui ideale etico e politico non può essere che di convivenza democratica. Per propria natura, dottrina, storia. Judith Butler butta l’asta molto più in là, e si dà ragione, dell’impegno teorico e anche politico. L’“inquietudine dell’ambivalenza” come “premessa etica” per “principi politici condivisi”. L’unica concessione, in questo salto senza respiro, è che si tratta di “nuovi” principi di condivisione.
Butler è argomentatrice radicale. E tuttavia, al fondo, non contestabile. Qui fa ampio ricorso alla migliore tradizione ebraica del Novecento: Lévinas, Benjamin, Martin Buber. Hannah Arendt, Primo Levi. Ma il punto da dimostrare è anche semplice, e inappellabile: gli obblighi della coabitazione non si suddividono per appartenenze religiose o ascendenza etniche (questo – forse non si sa – ma è il fondamento dello apartheid), la “pluralità sociale” non è oggetto di scelta e non può essere fine di una politica.
Butler è pensatrice”violenta” - brusca, radicale. Nata negli Usa da genitori russo-ungheresi ebrei osservanti, è anche specialista, nelle sue molteplici attività, di filosofia ebraica, e delle politiche del sionismo, “per un sionismo senza violenza”. Molto critica di Israele, è dirigente del “Jewish Voice for Peace”, il movimento ebraico per la pace, e una sostenitrice del movimento “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” contro Israele.
La filosofa ci arriva per un bisogno politico, avendo scelto la protezione dei palestinesi come della parte minoritaria e coartata nel conflitto con Israele. Ma è anche un esito si direbbe obbligato.
Il nazionalismo ebraico, circoscritto e anzi minoritario quanto si voglia, se non altro per la dimensione demografica, e per quanto giusto, si sta proponendo come una dimensione invadente. Dal caso semplice, Némirosky, a quello di Kafka - che Brod ha manipolato in maniera inestricabile. Dopo una storia bimillenaria che si vorrebbe risolvere nell’antisemitisimo, una grave distorsione. In linea con i fondamentalismi che esso stesso ha generato – visibilissimo, in un arco di tempo breve, in Palestina, dove la popolazione più laica e multiculturale che si possa immaginare è stata condotta a postulare l’annientamento, degli altri come di sé. E uno stimolo di fatto all’antisemitismo, il rifiuto attivo è anche passivo.
Judith Butler, Strade che divergono. Ebraicità e critica del sionismo, Cortina, pp. XIX + 319 € 26,50

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