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sabato 25 ottobre 2014

La mafia della legge

Il Procuratore Capo Creazzo, asceso dal mandamento piccolo e mafiosissimo di Palmi a Firenze, ha scoperto che vi processavano un ladro morto da tre anni. Lo processava un procuratore onorario – la scoperta è avvenuta il giorno dello sciopero degli onorari, cui Creazzo ha dato la sua solidarietà sostituendosi in aula – ma il processo andava avanti come fosse vero.
Sempre a Firenze, il giorno prima era stato assolto un ex direttore generale della Asl di Massa, reduce da tre anni e passa di carcerazione preventiva a causa di una telefonata da lui non fatta ma adebbitatagli, in fase d’intercettazione o trascrizione, dalla Finanza. Il direttore generale era stato intercettato su esposto-querela dell’assessore regionale alla Sanità Rossi, esponente di primo piano del Pd alla Regione Toscana, ora presidente della stessa. Anche il revisore dei conti della Asl di Massa, incolpato da Rossi, è stato assolto. Quella Asl ha fatto un buco nel 2011 di 400 milioni, un buco politico, che Rossi voleva che fosse rigettato sul vecchio dg e su Deloitte. Detto e fatto. Nessuno ha mai pensato di indagare su di lui.
Con l’assoluzione in appello nel processo Ruby si è saputo che Berlusconi era stato intercettato, benché parlamentare e presidente del consiglio, dallo Sco della Polizia 6.113 volte tra maggio e ottobre del 2010. Qui senza nemmeno una denuncia o querela. Quando la Procura di Milano ne diede l’annuncio tramite Gianni Barbacetto sul “Fatto Quotidiano”, fece scrivere che Berlusconi era denunciato da una minorenne di cui aveva abusato. Cioè da Ruby, che invece è testimone a suo favore. Lo Sco era stato creato nel 1992 contro la mafia. Ma questo non è il primo caso in cui devia dai suoi compiti.
L’illegalità è diffusa soprattutto negli apparati della legge. Troppa discrezionalità. Interessi di parte, di carriera o politici, e perfino sindacali. Troppa confidenzialità - pentiti che poi si ripentono. E inefficienza diffusa, al limite del criminoso, per indagini mal fatte. Non è una novità, dai vigili ai Procuratori Capo in Italia la legge è sempre stata questa: tutti sbirri. Ma ora non si critica nemmeno. Anzi, essendo diventato questo apparato marcio fonte di notizie e scandali, i media ne impongono un’immagine distorta di efficienza, impegno,  eroismo.
Si dice: il pesce puzza dalla testa e la giustizia non si sottrae. Ma il pesce Italia non puzza. È in crisi ma ha giudizio, energia, e integrità. È l’apparato repressivo che puzza. L’Italia ha giudici e giornali che non si merita. In Inghilterra, in Germania, in Francia, o negli Usa, si inorridirebbe a sapere che le fonti dell’informazione scandalistica sono gli apparati legali, in Italia i migliori giornali le esibiscono a titolo di merito.
Si fanno indagini, o non si fanno, come favori politici. Le Procure vengono da una stagione di processi politico-carrieristici da repubblica delle banane. In quale pese civile si farebbe posto a un De Magistris, un Di Pietro, un Ingroia? Ai tanti troppi altri che si sono fatti senatori e presidenti con indagini mirate politicamente? In nessun ordinamento giudiziario se non di tipo sovietico si è mai assistito all’espulsione di mezza Procura come fa Bruti Liberati a Milano. Uno del Pd con la protezione di Napolitano. Che invece Palermo, la Procura di Travaglio, Guzzanti e “Micromega”, vuole statale-mafioso.
De Magistris non è peraltro un’eccezione nella sistema giudiziario. Di Procure che, non avendo nulla da fare, o evitando di fare quello che devono, come De Magistris a Catanzaro, s’impegnano in indagini farlocche. Meglio se di richiamo mediatico, con intercettazioni a strascico. Girando per l’Italia se ne incontrano di assurde. Una  a Massa che si occupa solo di socialisti. A Rimini di Pantani. A Trani, non lontano da Bari, di speculazione internazionale. A Cremona di zingari del calcio. A Tempio Pausania di massonerie. Uffici che servono solo alle carriere: tanti Procuratori Capo, tanti Procuratori vicari. Alcune hanno anche la Procura antimafia. Ma perché tenerle in vita a fare danni? Non si potrebbero dare titoli e appannaggi di Capo e Vicario e chiudere gli uffici? Non si può: e il potere?
Boccoli e veleni
Il non detto della riforma della giustizia è sempre più vasto e velenoso. Si fa un balletto sulle vacanze dei giudici, o sui tempi del processo, e si tralascia l’essenziale. Il principio che si tentava d’introdurre venticinque anni fa, col processo accusatorio, di mettere sullo stesso piano accusa e difesa, è stato trasformato dai giudici più violenti, sotto forma di impegno politico, col consenso o il plauso vile della massa, in una gigantesca restaurazione delle vecchie lettere di cachet. Le indagini non si chiudono mai in sei mesi, le proroghe sono di anni e perfino di decenni. La carcerazione preventiva – discrezionale – è abusata come non mai. Non ci sono colpevoli di reato da individuare ma nemici da liquidare – liquidare, termine sovietico, piace ai giudici. Le indagini di polizia affidate ai giudici sono diventate un mattatoio di abusi: non si fa più violenza fisica, sui testimoni o presunti rei, ma i soprusi sono costanti, le trappole, gli imbrogli, le congiure, i complotti perfino, tra Procuratori, tra Procure – il cosiddetto “chiama-rispondi” – e con i confidenti nei giornali. Abbiamo avuto i Procuratori del Pci-Pds.Ds-Pd e “quelli di Fini”, nelle redazioni c’è il cronista della tale Procura o del tale  Procuratore e il cronista della tal’altra o del tal’altro.
Non è esagerato dire questa giustizia una mafia che s’impone sulla società, la proprietà, gli affari, la cultura. Con le guerre di mafia comprese. Intoccabile per il principio dell’autonomia. A proprio vantaggio, di gruppo e personale. A spese della società, col moralismo del tanto peggio tanto meglio. A spese dell’Italia, della parte buona dell’Italia, politica, imprenditoriale, culturale, e anche più sana, meno corrotta di questi giudici. Ma alla fine, sarà inevitabile, dello stesso apparato giudiziario, nonché della giustizia. Perché è chiaro che questa illegalità può perpetuarsi con le istituzioni deboli, e finché riesce a tenerle deboli o sotto ricatto, ma prima o poi il paese se ne libererà.
La magistratura giudicante si sta rinnovando e rimette qualcosa in chiaro, e questa è l’unica novità positiva. A Napoli, a Roma, nel Sud e ora perfino a Bologna e in Toscana: succede che qualche giudice dia torto alle Procure. È molto ma è sempre poco, di fronte alla forza delle mafie. A Milano i giudici restano assoggettati all’apparato repressivo perfino nei modi di essere – le giudici di più, bisogna dire: le vaporosità, i tintinnamenti, le colorazioni rosse e blu, i boccoli, le boccole, e le professioni di buon gusto. Un giudice anticonformista che una volta ha assolto Berlusconi è stato costretto alle dimissioni, naturalmente per stretti motivi di coscienza.

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