Cerca nel blog

sabato 7 ottobre 2017

Il mondo com'è (319)

astolfo

Bombe a Milano – Piazza Fontana ebbe un precedente. Su cui Camilleri ritorna in “Esercizi di memoria” per il ruolo che vi ebbe un suo parente commissario di Polizia, Carmelo Camilleri, il modello, dice, di Montalbano. Il precedente così Astolfo narrava dieci anni fa, nel romanzo del Sessantotto, “La gioia del giorno”, a seguire alle bombe di Piazza Fontana:
“Nel 1928 una bomba a Milano fece diciotto morti, uno più di piazza Fontana, e una quarantina di feriti. Scoppiò sul piazzale Giulio Cesare, all’ingresso della Fiera Campionaria, il 12 aprile poco prima dell’arrivo del re, che doveva inaugurarla. Altri due attentati, con bombe identiche, erano stati sventati a cadenza il 9 e il 6 dello stesso mese, senza però che fosse rafforzato l’apparato di vigilanza. Su polizia, polizia politica, milizia e carabinieri vigilava autorevole il federale milanese del partito Fascista Giampaoli, un fattorino del telefono che nel 1913 era stato in carcere per rapina in danno di una donna anziana. Gli arresti per la bomba alla Fiera furono 560, fra anarchici, socialisti, comunisti e repubblicani.
“La Procura di Milano si dedicò tutta al caso. Anche Roma: il Tri-bunale Speciale aprì un’indagine, il quadrunviro Bianchi, sottosegretario all’Interno, in persona interrogò alcuni degli arrestati. Questo per alcuni giorni. Il caso andò poi in letargo: i giornali ebbero l’ordine di non occu-parsene più. Fino all’ottobre del 1930, quando furono arrestati gli antifa-scisti di Giustizia e Libertà, denunciati da un Giuseppe Forti, alias Carletti, nomi di battaglia di Carlo Del Re, un avvocato friulano, lui stesso giellista. Del Re, perito fallimentare, s’era appropriato cinquanta milioni di un fallimento per coprire una perdita al poker. Per rimediare chiese aiuto a Balbo, confessandosi militante antifascista. “Ottimo”, disse Balbo, e lo raccomandò al capo della polizia Bocchini. L’avvocato esercita ancora a Roma (reintegrato all’albo nel 1954, morirà nel 1978, n.d.C.).
“I giornali ebbero indicazione di legare gli arresti alla strage. Ma al processo l’attentato non fu evocato. Ci furono anche allora un libertario suicida in carcere, un Carlo Maria Maggi, congegni Roskof per bombe a tempo, che sono semplici orologi, e esperti per provare l’improvabile. La storia riedita Ernesto Rossi, che nel 1958 la ricostruì in «Una spia del regime». Maggi, che creò il Meneghino, lustro dei gesuiti a teatro a San Fedele e Brera, nonché del lombardista Isella, è ricorso facile, ma non è tutto. “Fu il più grave cruccio di Bocchini, si può dire fino alla morte, non essere riuscito a vedere chiaro in questo tragico episodio”, attesta Guido Leto ne «I libri segreti dell’Ovra», l’Opera Vigilanza Repressione Antifascista che Mussolini volle sul modello sovietico dopo l’attacco a Giustizia e Libertà, “egli non si stancò mai di stimolare i collaboratori affinché non trascurassero nulla per far luce sull’attentato”. Arturo Bocchini fu Capo della polizia dal 1926 fino alla morte nel 1940.
“Un funzionario della questura, Camillo Camilleri, aveva fornito agli arrestati, dopo averle invano portate al Tribunale Speciale, le prove della loro innocenza. Ma non tutti furono liberati: i comunisti Ludovichetti, Sarchi, Testa, Vacchieri furono condannati, con Romolo Tranquilli, studente, fratello di Secondino, “Ignazio Silone”, che  morì in carcere a Procida a fine 1932 per le sevizie. Leto era il capo dell’Ovra. Può raccontarla perché il 25 luglio divenne antifascista, salvando dai tedeschi i compagni del Pci. Come il capo dell’Ovra a Milano, il “dottor” Luca Ostèria, marittimo genovese amico di Parri, di cui il presidente della Resistenza era stato prigioniero, che poi se ne disse protettore contro i biechi tedeschi. Il senatore commendator Bocchini condusse vita prodiga, specie con le donne, ma ebbe fama d’integerrimo servitore dello Stato. Lesinava sui fondi segreti, in uso libero senza giustificativo. Non diede tregua a Camilleri per aver scagionato gli arrestati: lo licenziò e poi lo angariò per impedirgli di lavorare. Fu destituito pure Giampaoli, insieme col questore, e inviato al confino.
“A Milano la bomba fu giudicata un’intimidazione fascista contro il re, per accelerare la controfirma della riforma elettorale su cui aveva riserve. Non escluso un fine sovversivo, secondo Camilleri: alcuni “eroi della rivoluzione” fascista, repubblicani, avevano un piano in due punti: eliminare il re e la corona, proclamare Mussolini capo dello Stato. Camilleri l’aveva saputo dal brigadiere Crespi della questura, detto “Maciste”, che aveva informatori nel Pnf. Si muore pure per niente”
Tutto vero - eccetto il “Camillo”, che è invece Carmelo.
Camilleri aggiunge molti particolari sul commissario, un cugino del padre, che lo scrittore ha sempre chiamato zio, e che lo ospiterà a Roma nell’immediato dopoguerra per studiarvi recitazione e regia. La prima indagine, ricorda Camilleri, fu affidata a un colonnello dei Carabinieri esperto di esplosivi, il quale riferì che l’ordigno (miscela, confezionamento, disposizione, nel basamento in ghisa di un fanale) era opera di artificieri abili. Mussolini allora incaricò delle indagini il capo manipolo della Polizia Ferroviaria, uno che aveva sventato un attentato al treno dello stesso Mussolini, spiegandogli che gli autori erano da cercare tra gli antifascisti, soprattutto tra i comunisti e gli anarchici. Parallelamente indaga la Questura, dove opera il commissario Camilleri. Mentre si sparge la voce che poco prima dell’attentato, nella caserma Carroccio della milizia fascista una pallottola sfuggita casualmente da un moschetto ha ucciso due militi e ne ha feriti gravemente altri tre. Per chiarire questo incidente Camilleri fa perquisire un circolo fascista, l’Oberdan, frequentato dai “fascisti più facinorosi e repubblicani di Milano”, fedelissimi del federale Mario Giampaoli. E si persuade che l’“incidente” alla Carroccio è lo scoppio accidentale del resto dell’esplosivo usato per la bomba alla Fiera. La Milizia Ferroviaria invece arresta a Como Romolo Tranquilli, e poi altri cinque comunisti e anarchici,  che prontamente il Tribunale speciale condanna a morte. A carico di Romolo viene addotta una piantina che aveva in tasca, che la Milizia dice essere la piazza Giulio Cesare dell’attentato alla Fiera. Camilleri spiega che la piantina è di una piazza di Como. E sulle sue indagini scrive “un lungo rapporto al capo della Polizia Bocchini allegando prove e documenti”. Bocchini fa leggere il rapporto a Mussolini. Che lo commenta a margine: “Liquidate Camilleri”».
Camilleri “venne immediatamente costretto a dimettersi dalla polizia”, e andò a lavorare da avvocato nello studio di uno dei difensori dei sei imputati. Era “un fervente fascista”, che “si era distinto per avere arrestato numerosi comunisti”, e per usare “metodi bruschi e violenti, per cui ebbe a subire qualche richiamo dai suoi superiori”. Destinato “a una brillante carriera”, cadde in depressione per la morte improvvisa di una figlia, e “diventò quasi un peso per la polizia, tanto da subire tre trasferimenti in tre anni”. Ma “l’attentato alla Fiera lo fece ritornare l’acuto investigatore che era sempre stato”. Da avvocato “non sopportava l’idea che sei innocenti”, sia pure dell’odiato partito Comunista, venissero fucilati e gli autori della strage restassero impuniti, e “allora compì un atto temerario: riuscì a fare arrivare al giornale comunista francese «L’Humanité» la sua relazione con allegati gli atti probatori”. Scandalo. Mussolini commuta le pene di morte in ergastoli. Camilleri è arrestato, processato al Tribunale Speciale e condannato a cinque anni di confino. Scontato il confino, si stabilisce a Roma ma non trova lavoro: “Per sopravvivere fece i più umili e vari mestieri, tra l’altro per qualche tempo sopravvisse vendendo sputacchiere”. Dopo la guerra fe reintegrato come vicequestore, con gli arretrati.
La bomba alla Fiera fu anche occasione per una retata di tutti gli oppositori laici del fascismo, che Camilleri non ricorda, prima che dei comunisti. A quegli oppositori Mussolini soprattutto mirava. Nell’occasione fu arrestato, con la moglie, anche Giuseppe Rensi, il filosofo socialista già epurato dall’università in quanto firmatario del Manifesto Croce nel 1925 contro il fascismo. Che poi fu presto liberato per lo stratagemma di un amico. Emanuele Sella ne pubblicò il necrologio affranto sul “Corriere della sera”, dandolo cioè per morto, e Mussolini si spaventò: non si fidava dei suoi giannizzeri, e lo fece liberare subito. Una storia molro camilleriana, che lo zio e Camilleri non ricordano.

Debito pubblico – Risale all’unità: l’Italia unita nacque indebitata, pur avendo incamerato gli attivi degli Stati annessi – sostanzioso quello del Regno di Napoli. Incamerò nel 1867 i beni della chiesa, e per qualche anno la finanza pubblica sembrò consolidarsi - i bilanci lusinghieri che si attribuiscono alla destra, a Minghetti. La manomorta fu poi alienata per niente, a beneficio della nascente famelica borghesia, e lo Stato tornò in sofferenza.

Rommel Il giorno dello sbarco il maresciallo Rommel lasciò la Normandia per festeggiare a casa la moglie nel suo onomastico. Erwin Rommel era una volpe, andava quindi di corsa. In altra cultura, meno indulgente, si direbbe che scappava, non sapendo come tenere il fronte Nord dopo aver perduto il Mediterraneo. La prima sconfitta della Germania, dopo tre anni di vittorie.

Era stato uomo di fiducia di Hitler, capo della sua guardia, e aveva dato ai tedeschi nel 1937, ritornata la spocchia col boom economico e militare, l’idea che avessero vinto la guerra che avevano perso. Aveva dato in “Fanteria d’attacco” l’idea che i sei fronti nei quali aveva servito durante la Grande Guerra fossero stati da lui sbaragliati – un successo di vendite colossale.

astolfo@antiit.eu 

Nessun commento: