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mercoledì 4 marzo 2020

La bolla virale

La diffusione del virus in Italia, il paese con più morti dopo la Cina, è quello dove il contagio cresce più rapido, è l’effetto della privatizzazione della sanità pubblica. I focolai dell’infezione sono stati nel lodigiano, nel padovano, a Brescia, e ora a Roma i Pronto Soccorso degli ospedali pubblici. Per incuria  in tutti i casi, ma per un’incuria determinata dalla privatizzazione surrettizia del servizio: il paziente viene lasciato in attesa, finché non decide di farsi analisi e lastre e e analisi a pagamento.
Non se ne parla, forse per carità di patria, con migliaia di infettati e centinaia di morti, ma è il nodo dell’epidemia.  È il dato più sicuro della crisi, anche se viene taciuto. A Codogno, a Schiavonia, a Brescia e al policlinico della Seconda università a Roma, un solo paziente abbandonato per 24 ore è stato causa delle epidemie locali – a Roma ancora no, ma è facile prevedere che l’infezione  già partita. Si dice delle restrizioni imposte alla sanità, Pronto Soccorso compresi, ma 24 ore di attesa per un paziente presumibilmente infetto sono solo possibili per una logica determinata, quella di far pagare i controlli.
Si direbbe la cosa criminale,  da “untori”. Roma, la capitale d’Italia, tre milioni e mezzo di abitanti, che arriva a dover chiudere le scuole perché il Policlinico di un’università ha lasciato “il paziente numero 1” ventidue ore in attesa in barella. Ma è semplicemente la mania mercati sta che ci affligge.


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