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martedì 3 marzo 2020

Il fascino del fascismo

Il”New Yorker “ si promuove dando in libera lettura alcuni classici dei suoi collaboratori (c’è anche Calvino, “Perché leggere i classici”), e la campagna centra su questo saggio di Susan Sontag del 6 febbraio 1975. È un riesame di Leni Riefenstahl, l’attrice  regista tedesca degli anni 1930, sotto forma di recensione del suo volume di fotografie sui Nubiani dell’allora Sudan,1973, “The Last of the Nuba”. Una stroncatura del volume e di Riefenstahl, dei film da lei interpretati e diretti, in quanto nazisti.
Questo saggio Susan Sontag non riprenderà nelle sue successive raccolte. Forse per i numerosi errori di fatto in cui incorre, che nella riedizione del “New Yorker” emergono nella corrispondenza successiva con i lettori (il saggio è leggibile anche in italiano, 
https://abbattoimuri.wordpress.com/2015/02/23/il-fascino-fascista-di-susan-sontag
ma senza le lettere al direttore e le risposte di Sontag). Un copia e incolla da Kracauer, “Dal gabinetto del dott. Caligari a Hitler”. L’errata attribuzione a Riefenstahl di un documentario su Hitler, “Berchtesgaden über Salzburg”. E di un’amicizia con Hitler “certamente anteriore al 1932 (una versione è che si incontrarono in una località della costa Baltica nei tardi anni 1920)”, mentre la regista fu cercata da Hitler, per un film di propaganda, nel 1933. Un documentario sulla Wehrmacht, “Tag der Freheit: unser Wehrmacht”, 1933, girato in un giorno, scambiato per “il terzo film” della regista, nel 1835. I film per cui Riefenstahl è nelle cineteche, “Il trionfo della volontà” e “Olympia”, premiato a Venezia, ridotti a opera di propaganda, organizzati e pagati dal partito nazista. Dando come assodato che “quattro dei sei film che ha diretto sono documentari, fatti per e finanziati dal governo nazista”.
Sontag nega anche l’ostilità di Goebbels alla regista, altrimenti notoria. E liquida i processi a Riefenstahl dopo la guerra, “giudicata due volte, assolta due volte”, dagli americani, come impostati male – la sentenza è infatti chiara: “Nessuna attività politica a sostegno del regime nazista che meriti una condanna”. Incongruamente sostenendo infine che Riefenstahl si rivaluta solo perché donna, perché prima, e indubbiamente abile, regista donna, al punto da trascurare di dirla nazista – su questo ha provocato una lunga protesta di Adrienne Rich. 
Ma non ci sono solo gli errori materiali: la rilettura dal saggio suona sinistra mezzo secolo dopo. A proposito del “fascino” ricorrente del fascismo. Che Sontag rilevava persistente nell’immaginario (grafica, pubblicità) e nei film. Nelle commedie musicali di Busby Berkeley, “Banana Split”, o “Fantasia” di Disney, degli anni di guerra, come in “2001” di Kubrik. O nel filone di quegli anni di film sadomaso d’autore: “La caduta degli dei” di Visconti, 1969, il Mishima della morte teatrale, 1970, “Il portiere di notte” di Cavani, 1974 (le manca di Pasolini “Salò-Sade”). Di cui il prototipo dice “Scorpio Rising” di Kenneth Anger, 1963, che l’estetica del fascismo nutrirebbe d’immagini di occultismo, muscolosi bikers in varie fogge, cattolicesimo, omosessualità querula, e divismo, sui santini di James Dean e Marlon Brando. Al fascismo lasciando l’eroismo. L’erotismo, non solo sadomaso: “Il leader fa venire la folla”, venire nel senso di sborrare. Più e meglio del comunismo: “Certamente il nazismo è più «sexy» del comunismo”. La bellezza e il culto della bellezza: la colpa di Riefenstahl con i Nuba è di aver fatto “un’elegia della bellezza e dei poteri mistici dei primitivi in via di estinzione” – specialmente apprezzandoli come “un popolo mistico con un senso artistico straordinariamente sviluppato (uno dei pochi beni che ognuno possiede è una lira)”. L’estetismo: di Riefenstahl, e di un lungo elenco, Céline, Benn, Marinetti, Pound, Pabst, Pirandello, Hamsun.  Anche l’ecologia, che la Germania praticava già da mezzo secolo, Walter Benjamin compreso, Susan Sontag lascia al fascismo: i film di montagna di Riefenstahl attrice dice “un’antologia di sentimenti protonazisti”.
Una celebrazione del fascismo, pretendendo di negarlo. Del comunismo salvando Djiga Vertov: “«Il trionfo della volontà» e «Olimpiade» sono indubbiamente film superbi (possono essere i due più grandi film documentari mai fatti), ma non sono poi importanti nella storia del cinema come forma d’arte. Nessuno che faccia film oggi allude a Riefenstahl, mentre molti registi (inclusa io stessa) considerano il regista sovietico Djiga Vertov una inesauribile provocazione e una fonte di idee sul linguaggio del cinema”. Riefenstahl vs.Vertov, dunque – che, però, sarebbe d’accordo?  
Susan Sontag, Fascinating Fascism, “The New Yorker”, free online

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