Cerca nel blog

venerdì 15 settembre 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto

Giuseppe Leuzzi


Nicola  Gratteri, nove anni fa ministro in petto del governo Renzi, segretario del Pd, viene portato alla Procura di Napoli dal centro-destra unito, contro il Pd. Destra e sinistra al Sud sono solo indicazioni.
 
Frequenti i nomi di origine, che si conservano, anche se, probabilmente, solo per inerzia anagrafica, burocratica, un nome è per sempre: i Lombardo, i Piemontese, i Napolitano, I Pugliese e i Calabrese in Calabria e in Sicilia, i Palmisano, Stillitano, Gallico, Siciliano in Calabria.
 
Insieme con la Versilia e la Romagna il Sud ebbe nel dopoguerra un boom turistico. D’avanguardia: Club Mediterranée a Cefalù, club Valtur a Nicotera, in Calabria, a Taormina il treno delle svedesi. Un turismo promozionato bene, con motivi d’attrazione, preso sovrastato dalla burocrazia, dal disordine, dalla sporcizia, dalle fogne, dalle selve di non-finiti. I club hanno chiuso, Taormina vive di turismo mordi e fuggi – con un po’ di zibibbo, in bottigliette falliche. Si discuteva in quegli anni dello sviluppo del Terzo mondo, di tecniche di accelerazione dello sviluppo. Al Sud certamente non è possibile: si può violentare, forse, una società composita, recente, non una tradizione.
 
Come si distrusse il risparmio
Non manca Corrado Alvaro di rivendicare , da buon “intellettuale della Magna Grecia”, il passato glorioso. Ma senza arabeschi, come “la più realistica tradizione del mondo”. E arpionato a una solida, ancorché breve, fulminante, sintesi storica dell’unità. Lo fa in “Memoria e vita”, lo scritto redatto nel 1942, in ricordo del padre, all’interno di una pubblicazione commemorativa che intitolò “Il viaggio”, titolo di un poemetto d’occasione, con la raccolta “Poesie in grigioverde” e altre liriche – il padre lo avrebbe voluto “poeta”, come scrittore non lo considerava.
La madre dello scrittore era di una famiglia di pastori, che erano i ricchi del paese. “Il nostro era un paese di pastori, più che di contadini, e aveva tutto l’Aspromonte pei suoi armenti,  ricco, prospero”. La famiglia della madre non voleva accettare il pretendente: “Quando si presentò mio padre, fu combattuto da tutto il parentado. Era un uomo a stipendio (era maestro, n.d.r.), e perciò considerato un cattivo partito”.
Su questa notizia Alvaro fa una digressione: “Coloro i quali pensano all’Italia meridionale come a una contrada che ha per ideale di vivere a spese dello Stato, riflettano a come è nata tale disposizione. Non è qui il luogo per tracciare quella storia dolorosa, né per dire come la nostra parte di meridionali nel miliardo annuo che fruttava l’emigrazione, assorbita dalle grandi banche attraverso il sistema delle piccole banche locali, adoperato per fondare la grande industria, e non precisamente da noi, fu alla fine distrutto attraverso le piccole banche che fallirono puntualmente travolgendo tanta economia meridionale faticosamente conquistata. Priva d’industrie, rovinata, divenuta un terreno di sfruttamento dell’industria non locale, al livello di poco più che una colonia, si capisce che la sola speranza fu il pane dello Stato. Dico queste cose brevemente per i signorini che reputano l’Italia meridionale economicamente e intellettualmente una contrada di moretti convertiti, dimenticando quanto sudore di sangue essa diede, e quando al pensiero italiano di veramente sostanziale, nell’orbita universale, da Vico a questa parte, fuori della retorica provinciale che tuttavia ebbe il tempo di guastare la più realistica tradizione del mondo”.
Le piccole banche “fallirono puntualmente", per non onorare i depositi.
Il matrimonio dei genitori di Alvaro si faceva nel 1894: ancora trent’anni buoni dopo l’unità il “posto” non era a premio. Il “posto” di Checco Zalone (“Quo vado?”) è un esito dell’unità, dell’impoverimento dopo l’unificazione. 
 
La questione pastorale – 2
Nel 1895, quando i genitori di Corrado Alvaro si sposarono, i pastori erano i signori del paese, San Luca: “I pastori e i loro anziani e capi abitavano una contrada alta detta il Petto. Erano ricchi, avendo “tutto l’Aspromonte” per i loro armenti – “le sorelle di mia madre furono date per l’appunto a pastori ricchi” (la famiglia della madre era di pastori).
Corrado Avaro lo ricorda nel 1942, nel memoriale in morte del padre, “Memoria e vita”. Ma già qualche anno prima, nel racconto “La cavalla nera” (apre la raccolta “Settantacinque racconti”, la sezione “Incontri d’amore”…), scherzosamente ma con severità, registrava un cambio radicale d’identità dei suoi concittadini, ora reputati emeriti ladroni. Quando i potamesi sbarcano in città (Potamia era il nome del paese fino al terremoto del 1592 che lo distrusse: fu ricostruito a valle, verso la costa, e chiamato col nome del santo protettore, la cui statua era rimata illesa nel sisma, ed era stata trasportata via dai paesani), “strilli, grida, richiami; si chiudono le porte e i cancelli di legno, si ritira la biancheria” messa ad asciugare, “si ritirano i sacchi dalle soglie delle botteghe…”. Con la sottolineatura: “Perché chiamarli ladri? Non hanno il senso della proprietà”. Sono pastori, abituati a prendersi ciò che vedono: “Non sono gente cattiva, i potamesi sono religiosi e fedeli, ma soltanto non distinguono tra la roba loro e quella degli altri…. Un potamese che andò a Napoli , credeva che le fioraie per la strada regalassero i fiori ai passanti”.
In pochi anni, chiusi i boschi e gli alpeggi dal demanio e dai latifondisti, i pastori che facevano la nobiltà del paese sono diventati abigeatari e violenti. I potamesi, spiega il protagonista del racconto a un suo compare, che come lui ha lasciato il paese molti anni prima, non pensano a quello che sarà – non hanno il futuro, i potamesi come tutti i pastori: rubano gli armenti e “non ci pensano, né ai carabinieri né all’arresto. Sono potamesi e i potamesi non pensano mai a quello che verrà”. Con l’omertà: “Sono bravi, troveremo la montagna deserta”, si dice il narratore, ”e siccome sono tutti d’accordo i potamesi, nessuno ci dirà di aver veduto un armento. O ci dirà di averlo veduto da tutt’altra parte. E poi si avvertono tra di loro, e l’armento si sposta di qua e di là”.
(fine)
 
La quarta mafia
Una quarta mafia si è provato qualche decennio fa a impiantarla in Puglia, chiamandola Sacra Corona Unita o qualcosa del genere. Non ha funzionato – si basava sul contrabbando, da ultimo di albanesi, che però se la cavano da soli. Ora è a Foggia.
Questo sito ha rilevato un mese fa una serie di iniziative di Foggia, delle istituzioni e dell’ambiente, per schivare la maschera del malaffare. Coprendosi col Kilometro Zero, polo tecnologico leader nazionale nel campo delle fonti di energia rinnovabili, e col Gargano, la Foresta Umbra, i pomodori, il grano, la bellezza e la produzione. Ma niente. “La Lettura” del “Corriere della sera” la incorona “capitale della mafia”. A
 Foggia, spiega, “si respira lo stesso clima della Sicilia di tanti anni fa” - che era invece di guerra, terroristica, e comunque senza paragoni: “Il 6 agosto 2018 «La Lettura» andò in Puglia per raccontare l’emersione furiosa di una nuova delinquenza in un diffuso disinteresse generale. Siamo tornati per vedere come stanno le cose. Male. Al punto che si respira lo stesso clima della Sicilia di tanti ani fa. «La mafia non esiste». Foggia 2023 come Palermo 1960”. Nel 2018 con tre articoli di Gianni Santucci, “La guerra di Foggia”, “La Gomorra del Gargano”, “Pioggia di bombe”, oggi con uno ampio di Alessandra Coppola, con il colonnello dei Carabinieri Miulli e il capo della Dda Roberto Rossi, e un’intervista di Santucci con lo scrittore Piernicola Silvis, ex questore di Foggia, foggiano.

È così che nasce una mafia, basta chiamarla. La società può fare tutto quello che vuole per sfuggire alla condanna, non c’è scampo. Manca solo il nome. Anche la cupola.
 
Cronache della differenza: Puglia
Raffaele De Giorgi, sessantenne di Squinzano, commissario tecnico della nazionale di pallavolo ora in finale al Mondiale, già parte della “generazione dei fenomeni” della pallavolo nazionale, tre volte campione mondiale, una volta campione europeo, é per tutti Fefé. Oggi non sarebbe più possibile, il diminutivo per raddoppio, come Fofò per Alfonso, Mimì per Domenico o Domenica, Cecé per Vincenzo, Pepé per Giuseppe, Sasà per Saverio, Totò per Antonio. Ninì per Antonino… - resistono Ciccio per Francesco e  Gigi per Luigi ma sono 
italiano. Il Sud non esiste nemmeno più nell’onomastica.  

 
Uno non fa in tempo a nominare Foggia, la sua campagna per l’onorabilità, che “la Repubblica” c’inzuppa il pane. Foggia dà un premio ad Alain Elkann - un premio letterario. Che però non ha pubblicato nulla di recente, il premio è al nome, sperando che i giornali del figlio diano una mano al rilancio? È probabile - le strategie di marketing devono anzitutto sorprendere il committente. Ma lo scrittore in viaggio verso Foggia s’è messo di malumore. Il grande nodo ferroviario della Puglia, verso Napoli e verso Bologna-Milano ha ridotto a bivio provinciale (via Casera, Benevento). E i suoi giovani compagni di viaggio a trogloditi. Su “la Repubblica”.

Il “treno per Foggia” di Alain Elkann ha avuto il merito per Paola Sacchi, su “Start Magazine”, di riportare alla memoria lontane vacanze, da ragazza, partendo da Orvieto, con “maman”, col padre in attesa. Foggia non è Orvieto, ma “è stata bombardata”. Ma l’hotel Vicolella, ai bordi del Gargano che cominciava a spuntare nel turismo internazionale, è ancora un ricordo lieto. E poi, nota, i ragazzi ciarlanti che distraevano Elkann dalla lettura viaggiavano in prima classe.

Cicerone parla del Salento, ora opimo, come di un paese perso, al di fuori di ogni commercio con il resto del mondo, e lo apparenta al montuoso, impraticabile, Bruzio. Nell’orazione “Pro Roscio Amerino” compiange “coloro che abitano fra i salentini o i bruzi, da dove posso ricevere notizie appena tre volte l’anno”.
 
Già in questo, e negli anni di Cicerone, Salento e Calabria erano appaiati: per la mancanza di vie di comunicazione, o perché recalcitranti alla latinizzazione? O fuori dal perimetro commerciale gli interessi con la Grecia fermandosi a Brindisi, e con la Sicilia intrattenuti via mare? La grecità perdurante nelle due regioni potrebbe essere stata trascurata per la sua scarsa incidenza nell’economia dell’impero – la Sicilia, granaio di Roma, fu latinizzata subito.
 
leuzzi@antiit.eu


Nessun commento: