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La (non) famosa lite tra Pasolini e Manganelli
Pasolini è diventato “corsaro” per caso, secondo Piero
Ottone, il direttore del “Corriere della sera” che nel 1973 lo pubblicò in
prima pagina. Pasolini era stato invitato a scrivere sul “Corriere”, scrive Ottone nelle memorie, su proposta del suo vice
Gaspaare Barbiellini Amidei, in una rubrica interna, “Tribuna aperta”, di
opinioni che non impegnavano il giornale. Una domenica che la prima era praticamente
vuota Pasolini finì in prima pagina, e da lì non si mosse più.
Simonetti, specialista del Novecento (ma anche di Stendhal,
“Dei pericoli della linguua italiana”), recupera per la Fondazione Corriere della
sera i “pezzi” di Pasolini, che i lettori conoscono perché confluiti in due
volumi, “Scritti corsari” e “Lettere luterane”, rivisti e organizzati dallo stesso
autore, nella pubblicazione originaria, co la titolazione redazionale, quella che
è uscita sul giornale, con le eventuali varianti, discusse e più o meno approvate.
Con una lunga e analitica rilettura, da parte del curatore, che fornisce anche
molti utili riferimenti bigliografici, dei tempi e dei modi del Pasolini “corsaro”,
Gli articoli si rileggono, a distanza, come fossero in
pagina, come “pezzi” di oratoria. Simonetti stesso, che li ripropone, lo nota
ripetutamente, come infastidito. “Quasi tutti i temi affrontati da Pasolini sul
«Corriere della sera»” erano “stati anticipati negli anni Sessanta…. nei classici
di Marcuse, Horkheimer e Adorno – mai o quasi mai citati nei pezzi sul «Corriere”,
e adattati alla “pratica, e speciamente nelle azioni e nei comportamenti
dei giovani che ama”. Con gande sfoggio, e capacità, di retorica linguistica. L’aggettivazione,
“come sempre in Pasolini rigogliosa, concitata”. In genere raddoppiata e
triplicata – “atroce, stupido, repressivo conformismo”, “sviluppo stupido e
atroce”, “orribile, perché servile e volgare”. Per “una più generale tendenza
retorica all’eccesso”. Per “accumulazioni”, “elenchi iperbolici”, e “frequentissimo
ricorso al climax”, ascendente o discendente”. In un “più generale orientaento
all’iterazione”. Con “un ruolo centrale” affidato alle anafore”, le “ripetizioni
tipiche dell’oratoria classica” e delle requisitorie. Con molte “interrogative
dirette, anch’esse di schietta marca oratoria”. “Pezzi” in assetto teatrale, dello
scrittore come di fronte a un pubblico. E l’uso costante dell’ossimoro, forma
di “aggressione verbale”. Nella specie della sineciosi o sinecismo, come molto presto
aveva rilevato Franco Fortini: l’arte di assolutizzare con due aggettivi a contrasto.
Per l’abuso del paradosso – “secodo una logica ossimorico-paradossale”. Da esperto
della comunicazione giornalistica: “Le sue opinioni vengono contese dai
maggiori quotidiani nazionali (oltre al «Corriere della sera» e «Tempo», «La Stampa»,
«Il Mondo», «Paese Sera», «Il Giorno», «Epoca», «l’Unità» e altri ancora)”.
Tanta capacità stilistica ne fa dei reperti ancora
vivi. Ma col fastidio di leggere la critica della “borghesia”, ripetuta,
costante, checché la borghesia significhi, di Pasolini e della pubblicistica d’epoca,
a opera di borghesi, anche “grandi borghesi” come si vorrebbero, come Pasolini
era. sul giornale per antonomasia della borghesia – tanto borghese che presume
di avere ragione anche del rivoltoso Pasolini, che mostra di non temere: lo sollecitava,
lo pubblicava all’istante, lo rilanciava.
C’è il disagio in genere della rilettura di Pasolini,
abile causeur, ma contraddittorio e non profetico, o malamente. Un forte
retore, contro ogni contraddizione, ma non un profeta, e nememno grande analista.
Senza principi in realtà, e senza nemmeno passioni. Anche se lo scettico Simonetti
cade qui nell’equivoco, anche lui: “Una delle idee più generali della «psicologia
selvaggia» di Pasolini negli anni del «Corriere» affonda le sue radici profonde
in una circostanza dolorosa ma privatissima: nel 1973 Ninetto Davoli si era
sposato con una coetanea, facendo improvvisamente sentire Pasolini più solo e
più vecchio che mai”. Solo per scelta, anche con i compagni di una vita,
Moravia, Maraini. E vecchio a quarant’anni, essendo anche “Pasolini”,
attivissimo su mille fronti? L’amore di Ninetto deluso, ci ha scritto anche un
libro di sonetti? Una finzione. Perché, se Ninetto era il suo “figlio”, come
poteva esserne geloso?
Il mondo reale, della cui “conoscenza” Pasolini si faceva
bandiera, era quello delle cacce notturne. Del rimorchio o dragaggio di ragazzi,
al Castro Pretorio, al Colosseo, nei tanti luoghi di prostituzione. Le “cacce”
nobilitate in contemporanea dagli entomologi scrittori, Jünger, Nabokov, erano
quelle delle marchette notturne. Come lo era il suo Sud, facendo la tara dei
tanti sermoni – Napoli e la Calabria (le caserme di Castro Prtetorio?). Una
prossemica delimitata dal sesso. Non dall’amore, dall’atto. Perciò inesausta, di
cui le profezie sono il rigurgito, per la cattiva coscienza – Pasolini non era
un libertino, era rimasto agli atti impuri del suo primo romanzo. E un’assiologia,
camuffata di civiltà, del popolo dei marchettari.
“A rendere unico questo giornalismo non è soltanto la
partecipazione di una folla di giovani”, Simonetti si ritrova a metà trattazione
a rilevare, di corpi prestanti, in qualsiasi luogo Pasolini si fosse trovato,
una sorta di monodia monotematica, “ma anche il fatto che, altrove trionfante e
vitalistica, nelle pagine del quotidiano questa presenza diventa
prevalentemente depressiva, minacciosa, apocalittica”. Più che per il luogo
della scrittura, il “Corriere della sera”, per l’arco di tempo della
colaborazione al quotidiano, 1973-1975.
Insomma, un ottimo “scrittore”, sempre adeguato al
tema, non una bandiera, non un maestro, nemmeno un compagno di strada – se non
per il dannuzianesimo minore, peraltro in abito sempre composto, alla Malaparte.»
La novità della raccolta
riguarda la mancata pubblicazione sul “Corriere della sera” di due “pezzi”. Uno,
intitolato “Cani”, che Pasolini riprenderà in “Scritti corsari”, per, dirà
Barbiellini Amidei, “la (da lui presunta), omosessualità di san Paolo”. L’altro,
“Quiz”, nella polemica sull’aborto, perché “era il ritratto ironico e corrosivo
di un famoso collaboratore del «Corriere»”. A lungo si è pensato che questi
potesse essere Biagi. Simonetti spiega che non poteva essere: Biagi non era
entrato nella polemica sull’aborto. Anche perché, va aggiunto, Pasolini, che
aveva provato anche la televisione, con la pubblicità commerciale, era stato
aiutato indirettamente da Biagi con un “Pier Paolo Pasolini e gli ex compagni
di scuola della III B” nel programma “Terza B facciamo l’appello”, una
rievocazione del liceo bolognese, di Pasolini e di Biagi (evitando i compagni
che non amavano Pasolini perché lo sospettavano di fascismo, di essere
addirittura un informatore politico). No, spiega Simonetti in pagine sapide, il
collaboratre preso di mira, con prosa fulminante, era Giorgio Manganelli. Che
con altrettanta malcelata violenza aveva criticato Pasolini sull’aborto, il giorno
dopo il suo articolo, sullo stesso “Corriere della sera”- “Tribuna aperta” –
una perorazione seducente, con le stesse armi retoriche di Pasolini, che
riscosse, in privato, l’entusiasmo di Calvino. Lunghi estratti della polemica valgono
la (ri)lettura degli articoli.
Gianluigi Simonetti (a cura di), Pasolini e il
«Corriere della sera», Fondazione Corriere della sera, pp. 475 € 19
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