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Il vero racconto dietro il flauto magico di Mozart
L’ultima opera di Mozart è in realtà una non-opera, è
un Singspiel, all’uso germanico: un teatro cantato, che alterna canto e
recitazione. Comprensivo di arie, duetti, terzetti, quintetti, ma fondamentalmente
recitato: un dramma o commedia in musica – qui piuttosto una favola.
Schikaneder, che fornì a Mozart il libretto, era uomo
di teatro. Di giro, non di corte. Con un ruolo vario o tuttofare, di attore,
adattatore (di Shakespeare, Schiller, Goethe), nonché autore in proprio, di drammi,
operette e commedie musicali. Il racconto che Mozart volle musicare è dell’“unione
degli opposti”, della luce e la tenebra, del cielo e la terra, del maschio e la
femmina, e quindi dell’amore. In uno scenario “orientale”, egiziano. Un mondo
fiabesco perché ingenuo, infantile, per una sorta di “musica per bambini” (Ingmar
Bergman ne ha fatto un film per e con i bambini), o della favola bella.
L’idea di riproporre il testo come opera a sé stante è
di Gian Piero Bona, che ne dà anche la traduzione, a fronte dell’originale. Con
un saggio di Citati, “La luce della note”, su Schikaneder, il suo rapporto con
Mozart, e il senso recondito, esoterico, della favola. E uno di Jurgen Baltrušaitis,
inedito in Italia, “L’Egitto dell’opera lirica e della massoneria”.
Emanuel Schikaneder, Il flauto magico, Adelphi,
pp. 274 € 16
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