Cerca nel blog

domenica 4 ottobre 2009

I prestiti di De Benedetti si chiamano chance

“Un patto siglato nel 1986 tra i Formenton e la Cir”, scrivono i giornali di De Benedetti, “impegnava gli eredi a cedere quel pacchetto alla finanziaria dell’Ingegnere entro il 1990”. A cedere la quota Formenton, che invece il figlio Luca, editore molto di sinistra, troverà più conveniente cedere a Berlusconi. Facendo perdere a De Benedetti “una chance”, statuisce ora il dottor Mesiano del Tribunale di Milano. Che la colpa dà a Berlusconi e non a Luca Formenton, ma questo è il meno - è il giorno della difesa della libertà contro Berlusconi, e la vigilia del voto alla Consulta sulla immunità per Berlusconi, questo basta per un giudice a Milano.
È una partita fra gentiluomini: giudici De Benedetti, Berlusconi, Formenton. Non è possibile metterci becco, e non ne vale la pena. Ma perché Mario Formenton impegnava la moglie e il figlio a vendere a De Benedetti? Ammesso che un impegno del genere possa essere vincolante. Per simpatia? Perché era indebitato con De Benedetti. Ma come?
Mario Formenton aveva condotto la Mondadori a mali passi, costringendo parte della famiglia a separarsene per salvare il salvabile. La sua Mondadori fu salvata da Berlusconi e da De Benedetti. Berlusconi acquistò, pagandola, Rete Quattro. E De Benedetti?
Nel 1978 De Benedetti aveva dato tre miliardi a Scalfari e Caracciolo, facendo firmare delle note di pegno, per salvare il gruppo L’Espresso. Note che sono apparse - incautamente? - nel bilancio di gruppo dello stesso anno. Poi sono scomparse, ma dopo alcuni anni De Benedetti era proprietario del gruppo. Un giudice coraggioso a Milano chiama questo sistema una chance, ma per la verità esso ha un altro nome. Che non si può dire, evidentemente - e perché, non c’è la libertà di stampa?

Nessun commento: