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mercoledì 7 ottobre 2009

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (44)

Giuseppe Leuzzi

Una nota magistrale dello storico Macry sul “Corriere della sera” oggi a margine dei lavori della Consulta, ricorda che il consesso è “napoletano”, nove giudici su quindici. Lo storico riprende il nostro tema, del pagliettismo imperante che Napoli ha imposto, al Nord oltre che al Sud. Ma conclude positivo: “Pur in un territorio povero di Stato e spesso afflitto dall’abuso amministrativo, com’è il Sud delle cosche e degli scandali, la sapienza della legge sembra voler cocciutamente sopravvivere”.
No, purtroppo è questa “sapienza della legge” che immobilizza il Sud. Più che la prevaricazione, la pregiudizialità, la concussione, che metterebbero lo Stato al nostro livello, sfidabile, in rapporto dialettico, comunque in movimento, la burocrazia immobilizza il Sud. Che al meglio è “stupida”, cioè fuori dal mondo, e quindi dannosa. Fosse anche nell’accezione più alta, hegeliana, del termine, al vertice degli organismi autonomi dello Stato, dalla Consulta alle moderne Autorità e ai prefetti. Una burocrazia che è questo “diritto perfetto” napoletano.

Resistenza
La Calabria è stata tra il Sette e l’Ottocento la Vandea dell’Italia. Filomonarchica e antirepubblicana. Questo, alla fine, è vero. Ma la Calabria fu soprattutto antifrancese. Avendo sofferto le truppe d’occupazione francesi come nessun altro invasore prima – doveva ancora arrivare lo Stato italiano. E gran parte dell’attività antifrancese rientra fra quelle legittime e anzi necessarie della Resistenza.
Le truppe francesi introducevano la levée en masse, l’oscena leva obbligatoria dei maschi giovani di robusta costituzione fisica, per le loro guerre, si pagavano col bottino, e angariavano le donne. Prima che per il Re e per il Papa, i popolani calabresi si coalizzarono contro i repubblicani francesi per questi motivi, i massisti, per antifrasi contro la leva in massa, truppe a massa messe su come capitava, la brigata speciale Calabrian Free Corps, messa su dagli inglesi, e stipendiata, e gruppi isolati che i feroci generali di Napoleone e Vittorio Emanuele troppo sbrigativamente liquidano come briganti. Sicuramente non combattevano per i padroni, come si fa a dire simili scemenze, nei libri di storia?
Uno dei nuclei originari del paese, Paraforio (Paracorio), fu bruciato per rappresaglia dai francesi. Era stato ricostruito provvisoriamente in baracche dopo il terremoto del 1783 e fu bruciato il14 maggio 1797. Attaccata durante una fuoriuscita a fine 1806 dagli insorti, la guarnigione francese di stanza nella vicina Pedavoli aspettò il bel tempo, e a maggio mise a fuoco di nuovo tutta Paraforio.

Dopo quindici anni superleghisti, della superfirma Stella che implacabile fa articolesse da prima pagina su un’assunzione alla Asl di Palmi o una perdita all’acquedotto di Andria, il “Corriere della sera” ha cominciato il 7 ottobre 2009 a trovare che anche al Nord le cose non vanno molto bene. Un articolo di Sergio Rizzo, l’altra faccia di Stella, sul famoso raccordo stradale di Asti che costa cento miliardi di lire al chilometro si è meritato la prima pagina.
Un atto di onestà del nuovo direttore de Bortoli? C’è nuovo interesse alla questione meridionale - interesse in senso proprio, i progetti e fondi perduti?

Alvaro e l’odio-di-sé meridionale – 3
“Gente in Aspromonte” è la Calabria com’è – com’era. Risultato di una storia che comprende però anche l’unità d’Italia. Nella sua parte caratterizzante, la miseria, è anzi dettata dall’unità: c’era miseria come a San Luca in tutta l’Italia a fine Settecento, c’era solo nell’Aspromonte a fine Ottocento. In parte reale, in parte percepita. Non c’è scandalo particolare per come vive la Calabria tra i tanti memorialisti delle armate napoleoniche. Un secolo dopo la Calabria è quella che era, e forse peggio per le devastazioni del lungo stato d’assedio, e gli osservatori sono severi, se non prevenuti. Uno di questi è Alvaro.
È dell’unità, compresi i tanti patrioti che dal Sud provenivano, la squalifica del Sud e la creazione della questione meridionale. Per questo non c’è un equivalente di “Gente in Aspromonte” in Valtellina, in Garfagnana, o nel Casentino, dove pure le stesse condizioni, igieniche, alimentari, sociali di San Luca sono attestate dalla memorialistica popolare ancora durante la guerra, la seconda, e dopo – le fogne, gli acquedotti e le strade asfaltate arrivano una quindicina d’anni dopo. C’è il colore, il bozzetto, ma sempre simpatetico, e comunque non disgustato. Mentre “Gente in Aspromonte” c’è, continua a esserci, alla fonte di ogni leghismo – i leghisti sono sconcertati dall’odio-di-sé meridionale, per quanto possano essere facili al pregiudizio e forse razzisti, stentano a crederci.
Alvaro è un grande scrittore. Ma è un figlio infinitamente meno buon cittadino di suo padre, che, pur senza uscire da san Luca, volle e seppe dare ai suoi quattro figli un’istruzione e una sistemazione più che decenti per gli standard nazionale. Le caratterizzazioni semiserie – semiridicole – che il figlio ne fa in tanti racconti non ne scalfiscono la solidità. Di un figlio peraltro che non si applicava agli studi, malgrado l’impegno finanziario della famiglia: girò mezza Italia e si diplomò, molto tardi, in una scuola compiacente di Catanzaro.

Milano
Assediata 48 volte, presa 28
Ha due nuovi contagi da Aids al giorno, tanti quanti New York, che è cinque volte più grande. Ha da sola 22 mila dei 60 mila contagiati italiani. Per la droga evidentemente. Ma non lo dice, e quindi non si dice. Ammirevole esempio di autostima - e di una informazione ridotta a Guareschi, al "compagni, "l'Unità" non lo dice".
Si dice che l’Italia sia da Terzo mondo, corrotta nell’animo, derisa perfino dagli spagnoli, e dai greci. Lo dicono i giornali di Milano. Dell’Italia governata dai milanesi. Alla maniera di Milano, tutta chiacchiere e buona coscienza. Che la colpa lascia agli italiani.
Si limita ad arricciare il naso. Per le operazioni sporche usa i napoletani, i maneggioni di Borsa e i dignitari che ardono di diventare consiglieri di corte d’Appello.
I napoletani buoni, quelli che hanno insegnato a Milano il gusto dell’insalata, non sono amati e non sono nemmeno temuti
La politica intende rapace. Mussolini e il fascismo. Gli affari di Cuccia: interessi privati con soldi pubblici (Montedison, Rizzoli, con legge apposita per prepensionamenti e carta, Sir, Liquigas, gli stessi Moratti). La "maggioranza silenziosa", non dei morti. Il leghismo. Mani Pulite: i più corrotti hanno cacciato i corrotti semplici (Rizzoli Corriere della sera, Telecom 1 (privatizzazione), 2 (razza padana) e 3 (intercettazioni). Berlusconi. I governi molto milanesi di Berlusconi.
Tutti gli italiani parlano in dialetto, a Venezia e a Napoli, a casa, in piazza e al lavoro. Si scrive anche in dialetto, Goldoni, imitato da Voltaire, Ruzante, Basile, Belli, Porta, Eduardo, eccetera Si scrive italiano a scuola, in azienda, e nei saggi, e lo si parla in pubblico, a scuola, in azienda. Ma i lombardi trovano che bisogna “imparare” il dialetto. Che senso ha? Vogliono adottarlo in vece dell’italiano? Dio volesse...
No, è la solita storia: Bossi che occupa l’estate, l’ultimo scampolo d’estate – Bossi cessa la campagna delle scemenze esattamente il 21 settembre. Ma i lombardi ci credono. In spiaggia in Versilia a fine settembre un signore milanese insegna ad altri lombardi le etimologie del lumbard, e l’esatta pronuncia dialettale. Le etimologie sono quasi sempre tedesche. La pronuncia invece non si sa se è di Milano, di Bergamo o di Sondrio. Ma nessuno ride.

leuzzi@antiit.eu

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