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venerdì 11 febbraio 2011

Secondi pensieri - (63)

zeulig

Abisso – È in alto o in basso? È in alto, dove c’è quiete e silenzio – la storia immota, tanto è antica. Ma l’impressione è di cadere, precipitare, come se il nulla fosse in basso.

Femminismo – È – è stato ? – un movimento spiritualista. Le leggi, la medicina, il potere (l’utero è mio”), il calcolo sono aristofaneschi Oppure portano al corpo disseccato: nell’ambito della Grande Paura detta ecologia, che è il rifiuto di vivere. Il profondismo dell’utero abortisce naturalmente in un’oggettivazione sterile e asettica, sotto l’ombrello scientista o della giustizia.

Heidegger – Allo “Spiegel” dice: “(I francesi) quando cominciano a pensare parlano tedesco”.
Hans-Georg Gadamer ha questo dialogo con Angelo Bolaffi (“la Repubblica”, 7 ottobre 1889):
D.: Molti dei discepoli di Heidegger erano ebrei…
R.: Naturalmente, perché erano i più intelligenti.
D.: Ma Heidegger sostiene che per pensare filosoficamente bisogna pensare in tedesco…
R.: Infatti gli ebrei parlavano tedesco. Dirò di più: nella maggior parte dei casi il tedesco era la loro madrelingua.
Grossolanità da nuovi ricchi. Nella lettura della Germania da Wagner in poi si sottace questo ingrediente: il nazionalismo. Che è quello principale, se non unico: l’orgoglio di chi pensa di avere inventato il mondo, un complesso popoviano. Ma già Fichte (“Discorsi alla anziona tedesca”) rimproverava Carlo Magno e i Franchi di avere tradito la lingua, le tradizioni e il carattere del popolo teutone, facendosi colonizzare e corrompere dalla cultura latina.

Il suo esistenzialismo è la tristezza da sazietà, di cibo, vino, conquiste, amori, ragionevolezza. Un gozzo pieno di sensiblerie. Fra il sociologema e la lirica, senza filosofia.
Heidegger è nazista perché la politica del “Discorso del rettorato” è nazista, più che per questioni di tessera: “sangue e terra”, campi di lavoro, mobilitazione.

Leviatano – È in Hobbes, con ogni evidenza, un essere buono: dio mortale, grande uomo, ammirato animale artificiale – automa, macchina – e governatore dalla ingens potentia. Ma i commentatori hanno bisogno di trasformarlo in mostro. I commentatori liberali, che vorrebbero, ma non sanno come, recuperare Hobbes. Ma anche gli statalisti si sbracciano a stabilire che è un mostro: Tönnies, Schmitt – che punta perfino sull’esoterico. Mostro dovrebbe essere, per queste anime candide, Hobbes, con la sua geniale intuizione di un collegamento necessario tra l’individualismo di ritorno e il sociale (statuale, trascendente), tra privato e pubblico.
Dice Schmitt (“Scritti su Hobbes”, 126) che il Leviatano divenne un mostro a iniziativa degli inglesi: pubblicato nel 1651 insieme con il Navigation Act, che sanciva la libertà dei mari, fu sa questi sconfitto. Popolo marinaro, di spazi aperti e di commerci, gli inglesi rifiutarono l’assolutismo incipiente nel continente. Schmitt dice anche (id., 124) che gli inglesi rifiutarono Hobbes per averlo associato alla restaurazione stuartiana. E questo è più vero che non la preclusione ideologica, o caratteriale. Lo “spirito inglese ” non è “contrario al decisionismo del pensiero assolutistico”. Lo concilia col dissenso, e con i diritti dell’individuo, canonizzando le due opposte espressioni nella forma. È bizzarro che proprio questo sia sfuggito a Carl Schmitt – a meno che egli non sia altro che un giurista kelseniano, e un antidemocratico.
Restando per mare, la democrazia inglese è molto simile alla gestione di una nave, in cui tutto è definito nei minimio particolari, con regole ferree: l’autorità è indiscussa, la divisione dei compiti è solo funzionale, prevaricazioni o abusi vanno puniti e non tollerati. Tra un’elezione e l’altra, il governo inglese è da quasi due secoli quello che ha la maggiore autonomia. Compresa la decisiva competenza di sciogliere il Parlamento.

Libertà – “Uno dei doni più preziosi che gli uomini diedero ai cieli”. Conservata per anni come un’ambigua verità di Cervantes, per averla letta in una biografia dello scrittore, la frase originale configura invece, a una ricerca che ne consenta una citazione, la libertà come il solito modesto “regalo dei cieli”. Però: Dio non è libero, essendo eterno, l’uomo chissà. La libertà nasce dall’incertezza.

È misteriosa perché Dio ha lasciato la scelta all’uomo, sia nel paradiso terrestre che dopo il peccato? O non sarà la libertà una lusinga del demonio?
A meno che la libertà non sia, come tutte le creature, imperfetta. Quindi anch’essa divina ma dai modi incerti e misteriosi, occasionali, tra lampi originari, e campi magentici, polveri, gas, vermi.

Ha un senso se c’è il rifiuto della morte. È uno spreco, e come tale può apprezzarla chi ha spiccato l’edonismo. Cioè la non attesa della morte.

Linguaggio – Esclude o collega? Fa la differenza o la comunicazione? Fa l’una e l’altra. Ma l’innatismo è per l’esclusività. E per il Vangelo: il segno s’indirizza unicamente agli adepti, e da essi soltanto è riconosciuto – “una generazione perversa e senza fede chiede un segno, ma nessun segno sarà dato loro”.
Un’esclusività che si applica alla fede, e alla comunicazione.

Nietzsche – La grecità dionisiaca è un Mediterraneo ottenebrato, un Walhalla al sole (come poi la contesa nazi-fascista su grecità vs. romanità, o Heidegger vs. i “South Winds”).
Discende dall’Apollo iperboreo. Che non è invenzione di Nietzsche. Ma contrasta con l’evidenza, dei testi e della storia.

Utilità – Non si esprime con una relazione diretta, la quale spesso può essere meno utile, o perversamente utile, e ha valenza diversa per l’individuo (privato) e per il mondo.
L’Algeria che rifiuta trent’anni fa l’automobile per puntare sull’edilizia rifiuta in realtà lo sviluppo. Finanziando l’automobile avrebbe finanziato la meccanica, la chimica, la gomma, le strade e le case – attraverso i prelievi fiscali su tutte le altre attività. Avrebbe anche ricostituito la dote iniziale, anzi moltiplicata. Puntando sulla casa ha messo in moto, se l’ha messo, un meccanismo riproduttivo sclerotico: quando l’edilizia va tutto va è assioma vecchio di due secoli.
Ogni azione va al suo obiettivo per vie diverse. Tutta la civiltà dei consumi è mandevilliana: la sua unica ratio è l’occasionalità, il superfluo, e al solito il vizio – si prende la protezione dell’ambiente, il più sicuro affare, privato di questi ultimi decenni. Come la razionalità, l’utilità si definisce per vie traverse.
Il moralismo dei classici, da Adam Smith a Galbraith, è un monito politico. Anche economico, ma limitatamente all’interesse privato e individuale. Con la razionalità del minimo sforzo (costo) per il massimo rendimento (utile), non con l’espansione e la diffusione della ricchezza. O meglio: l’utile si protegge con la legge, la ricchezza dei molti può esserci – c’è, c’è stata – ma in nessun modo protetta.

zeulig@antiit.eu

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