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domenica 29 gennaio 2012

Scalfaro, il golpista costituzionale

Il Quirinale è un luogo del tutto anomalo, per l’elezione, la durata, e l’irresponsabilità politica. E questa natura incostituzionale ha subito mostrato con la seconda presidenza, quella di Gronchi, Tambroni compreso, e poi con Segni. Questa anomalia Scalfaro l’ha resa illegale con una chiara deriva golpista. Nell’unico modo in cui un golpe si può attuare oggi in una democrazia, attraverso la giustizia e la stampa (i “padroni del vapore”).
Scalfaro muore da eroe di una certa sinistra perché è stato antiberlusconiano e antileghista. C’è da riflettere quindi al di là di Scalfaro, se un conservatore professo muore icona della sinistra, un giudice pio che comminò la pena di morte a un disertore nel 1943, se non già sotto la Rsi. Ma personalmente ha operato con violenza contro le istituzioni. Ha sciolto due Parlamenti. Ha inventato i governi del presidente. Ha avallato e in molti casi patrocinato la giustizia politica. E ha infine svuotato un movimento democratico forte, consolidato negli anni e in numerosi referendum, per la semplificazione (democratizzazione) della politica e l’autonomia del governo eletto.
Con protervia Scalfaro ha voluto mantenere l’Italia, caso unico fra le democrazia, nell’ingovernabilità. Con conseguenze negative enormi: politiche, costituzionali ed economiche. Lo storico dirà che si deve a quest’uomo in misura prevalente la crisi feroce che nel 1994-95 portò alla cancellazione di un milione e settecentomila posti di lavoro, un’enormità. E in buona misura, per la parte italiana, l’ingovernabilità della crisi in corso da tre anni.
Questo in aggiunta agli errori politici. La Lega, per esempio, in mani sue sarebbe diventata una forza eversiva – fu disinnescata dal Procuratore di Verona Papalia, un meridionale nel feudo leghista, e politicamente da Berlusconi. O il micragnoso “Non ci sto”, mentre avallava la peggiore giustizia politica. E imponeva suoi ministri della Giustizia – come dimenticare l’indimenticabile Mancuso nel suo governo Dini? O i ribaltoni, il bonapartismo delle zie.
I ribaltoni, sette governi in nove anni, in regime elettorale uninominale, avrebbero dovuto essere nella sua “visione”, e in gran parte sono stati, di mano sua, sovrapposti al Parlamento. Si ritenne sconfitto per aver dovuto nominare D’Alema a capo del governo nel 1998 (“il 40 per cento degli italiani pensa ancora che i comunisti mangiano i bambini e un altro 40 per cento ha ancora in casa l’altarino di Stalin”, così ragionava l’uomo), di cui sabotò con asprezza la Bicamerale, il tentativo di innovare la Costituzione, e poi Amato.
Se ha abolito la festa delle forze armate il 4 novembre e ha svuotato il 2 giugno, la festa della Repubblica, è per una visione personalissima del potere. Di uno che rinnega le origini meridionali, e biascica preci alla Madonna, fermando la scorta a ogni chiesa che incontra – ma più a quella del Gesù, che protegge come si sa ultimamente i democristiani. Un asceta dichiarato che pretese nel 1971 la promozione retroattiva agli altri gradi della magistratura, con doppio stipendio fino al 1993, e con doppia liquidazione. Lui che ne era fuori dal 1946, dalla Costituente: un “padre della patria”, certo – di quelli che “la Costituzione è nostra”.

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