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domenica 12 febbraio 2012

Murdoch e la merda made in Italy

Tremano le redazioni, con le case editrici. Quello che Berlusconi non ha osato, potrebbe diventare una pista gratificante per qualche giudice: rompere l’asse stampa-apparati. A Londra si rompe e l’esempio, si teme, difficilmente non tracimerà in Italia. Dove gli stessi delitti sono più vasti, e le responsabilità più elevate.
A Londra sono ripresi da un paio di settimane gli arresti di giornalisti e dirigenti del gruppo Murdoch. Dieci del “Sun”, il giornale più venduto, dopo il “News of the world” che Murdoch ha dovuto chiudere, e uno del “Times”. Con un poliziotto e un impiegato di Scotland Yard e uno della Difesa. Quali divulgatori pagati di indiscrezioni e segreti, o intermediari.
In un primo tempo l’offensiva britannica è stata trattata con sufficienza. Per due motivi. Quella britannica è un’altra civiltà giuridica, in Italia è saldissimo il legame media-giudici. I giornali italiani che usano le indiscrezioni non sono scandalistici ma d’opinione: sono l’establishment e non la stampa d’assalto di un tycoon australiano. Ora, però, per lo stesso motivo, l’iniziativa britannica crea apprensione. Anche nelle editrici, dove si raccolgono, si smistano, e si pagano i dossier.
Un’altra differenza è che in Italia gli informatori sono ufficiali di grado elevato (della Guardia di Finanza e talvolta dei Carabinieri, non della Polizia, curiosamente). Un parterre anch’esso nobile, per un’informazione in buona parte non pagata, anche se strumentale – a manovre politiche, alla carriera, alla concorrenza in affari. Ma anche questa differenza ora appare insidiosa: potrebbe ingolosire qualche giudice in cerca di ribalta.

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