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lunedì 7 marzo 2016

Alla ricerca dell’estasi

La prima di una lunga serie di celebrazioni francesi, con Nerval, Nodier, Baudelaire et al.. Sulla traccia di De Quincey, con l’hashish comprendendo anche l’oppio, ma più in chiave quasi positivistica, della sperimentazione. Particolarmente fredde queste di Gautier, ultime esperienze con i vecchi compagni di bohème. Abbastanza da poterle rivivere e trascrivere personalmente, senza l’aiuto del testimone esterno, come farà l’ancora più freddo Benjamin. La “tradizione” sarà infatti ripresa, via Parigi, da Walter Benjamin, Ernst Jünger e altri uomini tedeschi meno illustri. Per diventare infine promozionale, negli anni 1960 negli Usa, di una paraindustria, nell’ambito della cultura hippie dei fiori.   
Le droghe non fanno poesia. Di uso non eccezionale prima, diventano quasi obbligate dopo De Quincey e nella monarchia orleanista a Parigi, ma a nessun effetto creativo. Se ne ricavano immagini bizzarre e colori vivaci – oggi di produzione industriale: traslucidi, fosforescenti. Gautier ne riferisce come di una stranezza quasi metafisica. Che l’uomo abbia bisogno di alcol o, nei paesi orientali dove l’alcol è proibito dalla religione, delle droghe, per una sorta di bisogno di estasi: “Il desiderio dell’ideale è così forte nell’uomo da  fargli cercare di allentare … i legami che tengono l’anima unita al corpo; e siccome l’estasi non è alla portata di tutte le nature…”.
Si somministrava l’hashish all’epoca – come ancora per Benjamin – in forma commestibile: le foglie venivano cotte “con burro, pistacchi, mandorle e miele, in modo da formare una specie di confettura abbastanza somigliante alla marmellata di albicocche”.  
Théophile Gautier, Hashish, Il Sole 24 Ore, pp. 78 € 0,50

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