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mercoledì 22 marzo 2017

L’Fbi al comando

Profumo di ricatto al Congresso, senza maschere. Lunedì il capo dell’Fbi James Comey ha parlato in audizione pubblica davanti alla Commissione Intelligence della Camera e ha annunciato,  non sollecitato, che il Bureau sta indagando sui legami tra gli uomini di Donald Trump e la Russia. Così non potrà essere licenziato da Trump.
Siccome Trump è un osso duro, che lo accusa di averlo intercettato in campagna elettorale per ordine di Obama, oggi ammette: “Sì, è possibile che sia stato intercettato, ma in modo accidentale”. Come dire: non  siamo responsabili delle intercettazioni, ma le abbiamo in serbo.
In campagna elettorale, sicuro che avrebbe vinto Hillary Clinton, aveva aperto un’indagine su di lei.
Questa è una novità totale, per l’America che “fa” la democrazia in mezzo mondo, dall’Ucraina all’Afghanistan. Edgar Hoover, che pure ricattava i suoi presidenti, non aveva mai osato tanto, non al Congresso, non in campagna elettorale.
E poi, Hoover avrebbe sapito di Gazprom, la maggiore compagnia petrolifera mondiale, e il pilastro del potere di Putin. Che invece Comey non ha mai sentito nominare.
Si salverà la democrazia col prode Trump?

Torneremo alla guerra fredda per il comodo dell’Fbi?

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