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venerdì 7 aprile 2023

Roma matrigna

Racconti aspri, sotto l’ordinarietà, una quieta quotidianeità di personaggi, incontri, incroci, scambi,  eventi. Un racconto è degli “invisibili”, di come si finisce sotto un ponte – nel caso una galleria stradale, un sottopassagio. Altri di immigrati per qualche verso disastrati.
Racconti di esclusione e non di inclusione, come i precedenti racconti “romani” della stessa autrice. Di ordinaria esclusione: una lite, un commento, il condominio. E di attimi fuggiti, anche presso gli integrati – il racconto lungo “Le feste di P.”. Di una Roma non più benevola, come nei primi racconti “romani” di Lahiri, ora palco inerte. Non più i suoi cieli, le piazze, gli alberi, i fiume, i parchi, il garbo, ma sporcizia, vetri rotti, e gente distratta o inquieta, ostile. Quale si vive oggi: una città non solo male amministrata e vecchia, irrimediabilmente, ma senza più la caratteristica bonomia, anzi violenta a ogni minimo contatto, anche solo visivo. La città “dell’acqua che sporca”, può dire l’onesta lavoratrice immigrata da vent’anni a cui i bambini che accudisce possono inviare “i bigliettini” dell’omonimo racconto per dire “non ci piaci”. Al meglio è il finale, di manier a: “Che città di merda… Ma quant’è bella”.
Un’intera sezione, la II, racconta “La scalinata”, il viale Glorioso a Trastevere, dove l’“immigrata” intellettuale Lahiri ha scelto di abitare, in limnguistiica) LaHIRI HA ABITATO, in precedenza tema di divagazioni felici, che ora espone brutture: sporcizia, urla, vetri rotti di torme di ragazzi che ci bivaccano la notte, ladri camuffati da carabinieri, bande adolescenti che si divertono con gli scippi. Popolate da persone per qualche verso anch’esse escluse: la colf che faticosamente la risale all’alba per andare la lavoro, la vedova, vecchia e perciò umiliata, la ragazza (del liceo soprastante) a scuola isolata, non dalle compagne, dalla famiglia di un “comunita” diversa (mai “islamica”….), l’espatriata (una sorta di autoritratto). 
Una raccolta omogenea, raggruppando anche racconti già variamente editi, in pubblicazioni tematiche di altro genere. Racconti di malumore, anche solo per sentirsi apostrofare “bella moretta” dall’oste. Jhumpa Lahiri, già felicemente immersa nel tepore romano, si scopre assediata, dalle mosche e le zanzare, “anche d’inverno”, e dalla maleducazione, dall’indifferenza. Non benevola. I rarconti sono diventati “romani” nel titolo della raccolta nel senso di fare i conti con la città.
Materia greve – romana allora in senso di greve. E anche il tratto, la scrittura. Roma pesa, non più sogno, giardino di libertà, ma incubo, seppure a modo suo, svagato, indifferente.
Qualche racconto è meno “impegnato” – meno corrivo, o politicamente corretto, scontato. “La ragazza” per esempio, quella della “comunità” diversa, che l’incubo delle nozze con uno sconosciuto, fra dieci anni o cinque, priva delle chiacchiere con le comoagne, della gioia di vivere. Il racconto lungo “Le feste di P.”, dove pure nulla succede, richiama la passante di Baudelaire, che regala al poeta un’ebbrezza duratura, un’ossessione lieve o vita immaginaria (“fuggitiva bellezza,\  il cui sguardo m’ha fatto d’improvviso rinascere,\ non ti vedrò più che nell’eternità?”) – e il Kafka di “Meditazione”, il leitmotiv della sua prima raccolta di racconti: il rifiuto del contatto per programma, quasi un’infezione.
La malinconia si direbbe il leitmotiv della raccolta: il tema ricorrente è del rapporto coniugale muto, se non infranto. Non solo con la città. Ma questo è il tema di Lahiri prima dei libri romani: le famiglie. I genitori, i figli, i coniugi, le curiosità. gli amori, i languori, le paure. Di una scrittrice che s’indovina di forte temperamento, se non altro per la scelta di scrivere in italiano – di famiglia indiana, nata in Inghilterra, cresciuta, istruita e affermata negli Stati Uniti, sposata con un   latinoamericano, narratrice di successo, ora in lingua italiana, insegnante a Princeton, residente (quando può) a Roma. Ma ossessionata dal tempo che passa, dal mutamento, anche impercettibile.
Jhumpa Lahiri, Racconti romani, Guanda, pp. 257 € 17

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