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domenica 2 aprile 2023

L’ultimo rigurgito rivoluzionario fascista

La rivoluzione che non ci fu. Delle masse al potere. In un’organizzazione gerarchica che le vedeva alla pari con gli iteressi capitalistici e imprenditoriali. All’indomani del grande crac del 1929. In una con le riflessioni che in Germania Ernst Jünger andava svolgendo e troveranno presto sbocco ne “L’Operaio”: l’unità sociale attorno al lavoro, alla manifattura. Il corporativismo.
Una rivoluzione mai tentata, se non formalisticamente in Italia. Anche irrisolta sul piano teorico. Ma felice com intuizione – e come tale vedrà una ripresa negli anni 1980, in Germania, Giappone  Stati Uniti, marginalmente anche in Italia, sempre sul piano teorico.
Il concetto si fa luce a metà 1930, in un volume celebrativo voluto da Mussolini, “Lo Stato mussoliniano e le realizzazioni del fascismo nella nazione”. “Gli unici saggi propriamente politici”, spiega Gentile, “e complementari, erano i primi due” del volume, “quello di Rocco sulla trasformazione dello Stato e quello di Bottai sullo Stato corporativo”. Il fascismo è lo Stato, argomentava il giurista. “Volendosi definire lo Stato fascista”, aggiungeva Bottai, “distinguerlo dalle altre forme dello Stato, già storicamente realizzate, si dice che esso è uno Stato corporativo”. Cioè, “uno Stato a composizione sindacale e a funzione corporativa, in quanto come Stato veramente sovrano intende adeguarsi alla società civile…., e come Stato avente scopi propri, distinti da quelli della società civile, ha per finalità permanente di creare attraverso la propria azione, e di realizzate storicamente, l’unità morale, politica ed economica della Nazione”.
Bottai era già ministro delle Corporazioni, ma la materia era – e resterà – ancora confusa. Ne tenterà su “Critica fascista”, che dirigeva, ripetutamente l’elaborazione. Ma presto vene a cadere l’appoggio politico, malgrado la costituzione, il 20 marzo 1930, del Consiglio nazionale delle corporazioni. Mussolini condivideva l’impostazione ma, spiega Gentile, “non si faceva illusioni sulla conversione degli industriali al fascismo  e al nuovo ordinamento della produzione, sotto l’egida dello Stato” - «anche se li copriamo di tessere – disse il duce commentando il rapporto del federale di Torino del 15 gennaio 1930 – non li dobbiamo credere fascisti; non accettano la concezione del Fascismo e meno che mai quella sindacal-corporativa”. Nel clima odierno, benché per più faglie scricchiolante, il corporativismo di direbbe un’aberrazione, “fascista”.
Emilio Gentile, Storia del fascismo – 13. Gerarchi, masse, popolo, GLF-“la Repubblica”, pp. 159, ill. € 14,90

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