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sabato 17 febbraio 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (551)

Giuseppe Leuzzi


Napoli in Sol maggiore, Sicilia in La minore
“È la più grande città al mondo che sta sopra un vulcano e mi piace la visione magmatica dei suoi abitanti”, Rumiz spiega, a proposito del suo libro sui terremoti, “Una voce dal Profondo”, a Staglianò sul “Venerdì di Repubblica”: “Venendo da un universo molto compartimentato”, da Trieste, compartimentato fra lingue diverse, popolazioni e ceti, “mi affascina il loro, dove tutto comunica con tutto, il sopra e iI sotto, la religione e la superstizione”, Nella “porosità” che Benjamin ha coniato per Napoli.
Arrivato a Napoli nel suo viaggio nel “Profondo”, nei terremoti del Sud, Rumiz elabora un’acuta anamnesi della differenza (inconciliabilità) tra la città e la Sicilia. Perché a Napoli si canta e si balla e in Sicilia no? Differenza che sintetizza nelle tonalità musicali: Napoli è in Sol maggiore, la Sicilia, malinconica, in La minore.
Un cliente che aspetta alla cassa in libreria di pagare un libro spiega a Rumiz la “porosità” che Walter Benjamin ha individuato come il tratto di Napoli: “Solo un tedesco poteva notarlo. Nel senso che qui Kant non funziona. I tedeschi hano un bisogno patologico di perimetri e di regole. Tutte cose che da noi non esistono. Per questo Benjamin le ha notate immediatamente”.
 
Libri in Calabria
Indispettisce la designazione di Taurianova Capitale del Libro 2024. Non solo i giornali leghisti, tipo “Libero”, anche quelli progessisti, tipo “la Repubblica” e il “Corriere della sera”. Che ne fanno un caso politico, un’estensione del sottogoverno (spoil system), essendo il sindaco di Taurianova Rocco Biasi, detto Roy, ex Forza Italia, eletto (unico eletto in Calabria) sotto la faccia di Salvini. Non conta che la commissione giudicatrice sia al di sopra del sospetto, e i criteri di aggiudicazione precisi. Né vale il patrocinio del sindaco e della giunta Pd di Reggio Calabria, città “metropolitana” cui fa capo anche la Piana: “Taurianova sta raccogliendo i frutti di una programmazione che fa della cultura un autentico volano di crescita e sviluppo del territorio”.
“la Repubblica” è arrivata a fare violenza all’onesta corrispondenza dell’inviato Giuseppe Smorto. Presentandola come reportage di bieco sottogoverno: “Taurianova grazie al Ponte è capitale del Libro” è il titolo in prima pagina – senza sapere che nella Piana l’idea del Ponte è solo sulfurea, una visione di distruzione delle belle spiagge che la fanno respirare, da Palmi a Bagnara, Favazzina, Scilla, Porticello, Cannitello, Punta Pezzo (del manufatto è scontata la devastazione, mentre la costruzione nessuno pensa di vederla completata). Peggio faceva il giornale all’interno, a corpo 48: “Miracolo a Taurianova il paese senza biblioteca che con la Lega diventa Capitale del Libro”. E con la dida alla fotina del sindaco: “Festeggia la vittoria che vale 500 mila euro di rimborso spese”.
Taurianova è, come molti toponimi in Calabria, di conio recente. Con riferimento prevalente alla mitologia (di radice micenea?) taurina, che condivide con Gioia Tauro, Taureana e altre località). Dato da Roma nel 1928 all’assemblaggio di due distinti borghi – inzialmente tre, ma Terranova subito dopo la guerra si riprenderà l’autonomia, ribattezzandosi Terranova Sappo Minulio. I due borghi erano  Radicena (il nome comunemente usato per Taurianova fino a due-tre generazioni fa) e Iatrinoli. Toponimo, quest’ultimo, di derivazione greca, che ha attinenza con saperi o cure mediche e medicinali. Questa vocazione il nuovo paese aveva perpetuato in un ospedale. Mentre diventava, con l’unificazione dei due borghi, anche sede mandamentale di pretura. È stato quindi per tre-quattro generazioni un paesone di notabili, proprietari terrieri (Taurianova è al centro della vasta selva di uliveti di alto fusto che connota la Piana), piccoli e grandi, medici e avvocati, e di villette con la palma. Un comune molto grande, fino ai comprensori di San Martino e  Amato, incorporando quindi (in parte, con Rizziconi) l’ex feudo della principessa Acton.
Senza più pretura dal 1989, e senza più ospedale, si è riprogrammata sul commercio, una sorta di piccola Gioia Tauro. Si è costruita uaa circonvallazione occidentale di piccoli-grandi magazzini, e si è dotata di un mercato generale dell’ortofrutta. Un cambio di destinazione produttiva che ha generato un radicale ribaltamento sociale. Sfociato in costruzioni disordinate, e negli anni attono al 1990 in una violentissima faida, con almeno 32 morti. Con episodi oltraggiosi come una testa tranciata e lanciata in aria. Per questioni di droga, si è detto – la testa mozzata rende l’ipotesi plausbile, anche se le faide, genere oggi trascurato, anche dagli studiosi, sono, erano, di ferocia illimitata. Fu sull’emozione causata da questa faida che il ministro della Giustizia Martelli dell’ultimo governo Andreotti si costrinse a rimodulare, poco tempo dopo averla decretata, la normativa sullo scioglimento d’autorità dei consigli comunali per reati amminsitrativi, introducendo il criterio dell’antimafia. Con il decreto legge 164, del 31 maggio 1991. Una legge importante, gestita da Falcone, allora direttore Affari Penali al ministero della Giustizia, che si intitolava “Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”. Ma anche una legge ad hoc: in un certo senso Taurianova è nella storia, non un borgo sonnolento.
Contemporaneamente al peso amministrativo, Taurianova perdeva anche quello politico. Con l’eclisse della famiglia Macrì, potente braccio destro nel reggino tirrenico della corrente Dc di Base, referenti di Riccardo Misasi, forti nella sanità e nei servizi pubblici (Poste, Scuola), negli anni 1960-1980. Il padre Giuseppe soprattutto, medico, che fu anche presidente della Provincia, e ha intitolata la piazza principale del paese. La figlia Olga, medico anche lei, e ufficiale sanitario del Comune, sindaco per due consiliature dal 1983, la seconda sciolta in base al decreto legge 164, pochi giorni dopo il varo del decreto – anche in questo Taurianova è nella storia: il primo Comune sciolto “per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso”.
Olga viveva nel culto del padre. Suo fratello Francesco, detto Ciccio, sarà soprannominato “a mazzetta”, e incorrerà in una condanna a quattro anni. In realtà non era corrotto, nessuno lamenta che abbia preteso soldi in cambio, ma lavorava al motto: “i soldi ci sono, spendiamoli”, o anche “nessuno resta indietro”. Insegnante di francese alle medie, è stato per una ventina d’anni presidente della Usl 27, con 1.200 dipendenti e 50 miliardi l’anno da amministrare (25 milioni di oggi, che sembrano pochi, un appalto piccolo di Roma-Giubileo, ma cinquanta, quarant’anni fa erano una cifra).  Spensierato gestore, sarà condannato perché non osservava le procedure – Olga ufficiale sanitario era alle sue dipendenze, e così altre due sorelle, una dottoressa in ospedale e una accreditata presso uno studio di analisi mediche convenzionato con la Usl.
Una breve parentesi dopo i Macrì, e il commissariamento del 1991, fu aperta da Emilio Argiroffi. Un giovale messinese, medico, arrivato a Taurianova anche lui all’ospedale, comunista, poeta, che era stato senatore Pci, votato anche da Taurianova, per tre legislature. A capo di una lista civica  Argiroffi vinse le prime elezioni dopo i commissari, ma per pochi voti, al ballottaggio, e già di settant’anni.
Al voto successivo, 1997, il Comune tornò al Centro, ora Forza Italia, nella persona del sindaco attuale. Roy Biasi, allora 33 anni, uno delle giovani leve di Berlusconi, avvocato, nato in Australia e ritornato presto a Taurianova con i genitori, avviava una sua propria epoca. Verrà rieletto una seconda volta, e ancora un terza . Dichiarato decaduto dal prefetto per avere ecceduto i due mandati, poi in crisi col suo partito, tornerà nel 2020 con Salvini. E doppierà, quasi, il candidato Pd, sindaco uscente.
In Calabria non si legge molto – anche se si scrive molto. Le librerie stentano, editori e distributori non ci puntano. Vittorio Feltri, quando era al “Giornale”, prefazionava e vantava Totò Delfino, suo   corrispondente per la Calabria, per il motivo che “mi fa vendere 400 copie”. Non molte, si direbbe, e tutte a perdere, distribuite su un territorio ampio, a demografia parcelizzata, ma facevano opinione. Fino agli anni 1970 l’unico giornale di cronaca locale si faceva a Messina, la “Gazzetta del Sud”. Poi altre cronache locali si sono succedute, attorno a Cosenza, ma sempre in difficoltà. E le librerie si chiudono, più che aprirsi. Ultima la storica “Librarsi” a Delianuova, di Caterina Di Pietro.
Che senso ha dunque la festa del Libro a Taurianova? Quello che dice Falcomatà – che dice la giuria che ha preso la decisione. Perché l’attenzione non manca, né la curiosità – “Librarsi”, una libreria specializzata in cultura locale (letteratura, saggistica, questioni calabresi), ha tenuto per molti anni, malgrado la difficile localizzazione nel cuore dell’Aspromonte, affollate presentazioni, specie nei mesi invernali. Si tratta di focalizzarla, irrobustirla.
 
La lingua napoletana, o della dispersione
“La lingua napoletana (anticamente detta lingua napolitana) è un idioma romanzo - appartenente al gruppo italo-dalmata”, intima wikipedia, come d’uso anonima ma con piglio autorevole, “attestato fin dal Medioevo nell’Italia meridionale. Per italo-dalmate s’intende, sempre wikipedia, “un sottogruppo delle lingue romanze occidentali”. E ancora: “La lingua napoletana trae le proprie origini da un insieme più o meno omogeneo di antichi dialetti italo-meridionali, noti in epoca alto-medievale con il nome collettivo di volgare pugliese; tale denominazione storica derivava dal ducato di Puglia e Calabria (comprendente in realtà vaste porzioni dell’Italia meridionale) che, in epoca normanna, gravitava su Salerno, non a caso definita «la capitale della Puglia», in quanto sede principesca nell’ambito del regno di Sicilia”.
Qui c’è uno svarione – non proprio un errore, ma si vede che il linguista non è storico. Il regno di Sicilia ancora non c’era. E il ducato di Puglia e Calabria, così come il regno di Salerno, erano longobardi. I normanni entrarono in Italia alla spicciolata, nel primo secolo del secondo millennio, piccole bande di abili combattenti chiamate da questo o quel principe, più spesso il papa. Tra essi emersero gli Hauteville (Altavilla), e tra i vari componenti, zii e fratelli, presto emerse Roberto il Guiscardo. Che nel 1059 impalmò Sicheklgaita, la figlia del principe di Salerno e duca di Puglia e Calabria (oltre che di Amalfi, Sorrento e Gaeta, nonché principe di Capua) Guaimario IV oV – dopo aver ripudiato la prima moglie Alberada (non c’era il ripudio nel diritto canonico, nemmeno allora, ma Alberada era una cugina del Guiscardo, e il matrimonio era proibitissimo tra consanguinei). Il suocero Guaimario era morto sette anni prima, e il sucessore, il figli Gisulfo II, cercò di frapporsi ai disegni degli Altavilla. Ma Sichelgaita decise in contrario – una principessa che è all’origine della fortuna dei Normamni nel Sud, e che si trascura. La sorella minore Gaitelgrima Sichelgaita sposò a un fratellastro del Guiscardo, Drogone d’Altavilla. L’opposizione di Gisulfo alle sue proprie nozze col Guiscardo semplicemente ignorò. E prese subito possesso del ducato di Puglia e Calabria a Melfi, capitale della signoria. Dove invitò, subito dopo il matrimonio, il papa Niccolò II, che vi levò la scomunica del Guiscardo comminata per la sua politica matrimoniale. Al papa organizzò anche un sinodo dei vescovi latini del Mezzogorno, passato alla storia come Concilio di Melfi. E lo portò a conludere il Trattato di Melfi, poi Concordato di Melfi, col quale il papa, prevaricando sulla giurisdizione imperiale, passava alcuni possedimenti longobardi ai normanni: il feudo di Capua e Aversa a Riccardo I Drengot, il ducato di Puglia e Calabria, col relativo titolo diduca, al Guiscardo.
Ma è vero il prosieguo, sempre wikipedia: .
“Tuttavia, a partire dal  XIIImo secolo la parte peninsulare dell’Italia meridionale ebbe quale centro propulsore la città di Napoli, capitale dell’omonimo regno per oltre mezzo millennio!”. Con punto esclamativo - con che soddisfazione di Puglia e Calabria non si dice.
Se ne parla oggi per Sanremo. Il rapper Emanuele Palumbo, 24 anni a marzo, in arte Geolier, che dovrebbe voler dire (in francese) carceriere, ha preteso, e ottenuto, di cantare in napoletano, in quanto “lingua” – il regolamento del festival non vuole dialetti. E per questo ha suscitato malumori. Non nel pubblico, in sala stampa. La quale si è rifatta bocciandolo al concorso - schierando l’enorme peso dei suoi pochi voti a favore della giovane virtuosa Angelina Mango, 23 anni. Ma tutto questo è arcinoto. Perché parlarne? Perché Napoli ha reagito male alla provocazione: con manifestazione plebiscitaria di piazza, sindaco in testa, ha proclamato Geolier vincitore. Un vincitore che presto domenticherà? Sì.
Napoli è una capitale. Sembrerebbe, vista da fuori. Ma, sembra, incredula di se stessa. Gioca sporco ma gioca anche pulito. Specie, per esempio, al calcio, oltre che nelle canzoni: ha sempre vinto campionati in bellezza e scioltezza, anche quado non ha vinto (con Sarri e Higuaìn). Ma subito poi si è mutilata, con Ferlaino di Maradona prima, con De Laurentiis di Higuaìn prima e poi di Spalletti. Non si crede. O non si cura di se stessa, di accumulare. Ma le lingue servono per affermare, non per negare. La lingua napoletana, o napolitana, si direbbe dello spreco.
 
Cronache della differenza: Puglia
Il Salento si pone, nella riscoperta grecità, nel culto di Minerva. Il ritrovamento a Castro, peraltro in origine Castrum Minervae, della supposta Minerva dell’“Eneide”, del terzo canto del poema, una statuetta bronzea di Atena con elmo frigio, al centro del basamento di un grande tempio, rilancia la penisola nel culto di Atena. Con una contaminazione:  Minerva celebra indistintamente come Atena. Il Salento si vuole greco, ma senza rinunciare alla latinità.
 
Anche il santuario di Santa Maria di Leuca era, come il tempio di Castro, dedicato a Minerva. E gli ulivi: sono il dono di Minerva. Questa era già la leggenda nel Salento. In competizione con Nettuno per la riconoscenza (venerazione) dei salentini Minerva donò gli ulivi, Nettuno il cavallo - Minerva vinse facilmente.
 
È singolare, sintomatica, la ricorrenza dei cognomi in Salento e nella Calabria Ulteriore, reggina, per la comune persistenza della grecità del linguaggio, nel culto religioso e nella comunicazione verbale, fino alla latinizzazione perseguita dal papato dal XIImo al XVI secolo, a aprtira dai Normani: Arcuri, Arghirò, Attanasio, Codispoti, Cannatà, Condò, Cuzzocrea, Crisafulli, Foti. Laganà, Spanò, Tripodi,  Zuccalà, Zappalà, Praticò, Romeo, Politi-o, tra i tanti.
 
Nelle campagne di Foggia grossi quantitative di ecoballe inquinanti vengono sversati da automezzi pesanti. Con danni ai terreni, al foraggio e alle coltivazioni. Rifuti che i proprietari devono poi provvedere a bonificare, con forti spese. Al punto che il Comune ha deciso di provvedere alla bonifica, sostituendosi ai proprietari – cui resta poi l’onere della riqualificazione. La cosa interessa “Striscia la notizia”, non le forze dell’ordine.
 
Le “forze dell’ordine” al Sud non proteggono il capitale? Non sono lì per questo. Come al tempo dei rapimenti di persona. Tra le tante “anonime” terribilissime. Che poi si sono rivelate bande di mezzi trogoliditi, o sbandati, gente da poco.   
 
Attraversando la Puglia per imbarcarsi a Brindisi, Corrado Alvaro annota in “Quasi una vita”: “In treno, ancora addormentato, distinguevo il Sud, il mio paese, percependo il suo silenzio, quel silenzio tutto suo, remoto, sterminato. E dal finestrino ritrovavo aspetti del mio paesaggio infantile: immutato, e come se mi si rivelasse e non volesse più sapere di me”. Come un padre di molti figli.
 
Suonano false le serie Rai “pugliesi”, o baresi. La “Lolita Lobosco” di Gabriella Genisi, che pure ha interprete Luisa Ranieri, e la regia di Miniero, e quest’anno “Il metodo Fenoglio”, che pure è tratta da Carofiglio e ha protagonista un altro divo, Alessio Boni. A differenza di “Imma Tataranni”, inverosimile serie lucana, di Matera, che invece dice quello che è. Bari viene parlata come quella di “se parigi avesse lu mèri….”, quasi cosmopolita,  senza verosimiglianza. Cioè senza “carattere”. Che è dato dal dialetto, dalla cadenza perlomeno – dalla “parlata”.
 
Due giudici antimafia di Lecce, provincia “babba”, la pm antimafia Ruggiero e la gip Mariano, sono sotto tiro. A Mariano è stata recapitata “la testa mozzata di un capretto”, racconta il “Corriere della sera”. Ruggiero doveva essere sgozzata da un finto pentito, in carcere, nell’interrogatorio di convalida del pentimento, con un’“arma rudimentale (realizzata con cocci di ceramica) precedentemente occultata nel retto”. Mafia o farsa?
Le due giudici sono “destinatarie anche di lettere minatorie, alcune delle quali addirittura recapitate a mano in ufficio, firmate col sangue, e contenenti anche riferimenti a rituali satanici”.

leuzzi@antiit.eu

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