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venerdì 26 dicembre 2025

Gli ayatollah si appellano a Trump

Il regime iraniano non regge al riarmo, dopo la batosta israelo-americana di questa estate. Il partito del riarmo è praticamente scomparso: non si discute nemmeno come riprendere l’iniziativa a Teheran, ma solo come uscire dall’ipotesi riarmo, su tutte le piazze, Siria, Libano, Yemen. Dove ogni parte attiva risulta abbandonata, dall’armamento al coordinamento politico e militare.

Qualcosa potrebbe essere già in atto anche col governo americano. Per avere una qualche forma di assicurazione politica in cambio della rinuncia al nucleare, col rientro sotto i controlli dell’Aiea – una ripresa degli accordi con la presidenza Trump del 2015.
In vista di un riarmo psicologico, si riprende a Teheran la celebrazione della presidenza Rouhani negli anni 2010. Un presidente che si era impegnato per la modernizzazione dell’economia, e aveva promesso, e in parte promosso, una revisione dei diritti civili, a cominciare dal diritto di famiglia. Avendo maturato in precedenza più di ogni altro politico conoscenza dei problemi militari e strategici del paese. In suo nome una discreta pubblicistica favorevole al disgelo è promossa nell’America di Trump.

In passato le due potenze del Male non avevano disdegnato i rapporti. Erano stati gli Stati Uniti in definitiva a consacrare il khomeinismo nel 1978, abbandonando lo scià, già Grande Alleato, su iniziativa personale del presidente Carter, col suo inviato speciale a Teheran, gen. Huyser. Dopo la presa degli ostaggi da parte del khomeinismo radicale, e la catastrofe Carter, col tentativo di liberare gli ostaggi e col sostegno a Saddam Hussein per muovere guerra all’Iran, Reagan aveva ripreso i contatti, finiti nello scandalo Iran-Contras. A lungo gli Stati Uniti, pur definendo l’Iran “potenza del Male”, non hanno mai promosso iniziative contro - e probabilmente ne hanno dissuaso Israele, la strategia degli “attacchi preventivi”. Favorendone il ruolo di bilanciamento nella regione, avverso gli avventurismi arabi. Dapprima di Saddam Hussein, con la guerra del Golfo, e poi dell’Arabia Saudita, con la lunga guerra nello Yemen.
Poi i rapporti con l’Arabia sono decisamene migliorati, dopo essere decisamente peggiorati, con l’accesso al trono dell’ultimo re “saudita” (figlio di Abdelaziz el Saud, il fondatore del reame) Salman, e di suo figlio principe ereditario Mohammed bin Salman. Dopo il giro di walzer con la Cina, l’India, il Pakistan, e  l’assassinio a Istanbul del giornalista Jamal Kashoggi. Già con la presidenza Biden, ai primi di agosto 2022 - un’apertura di credito cui però Mohammed bin Salman resistette. P
rima cioè degli abbracci e accordi militari, economici e personali con Trump a maggio – affari da 150 miliardi e (forse) pace saudita con Israele (“accordi di Abramo”).

 

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