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Gli ayatollah si appellano a Trump
Il regime iraniano non regge al riarmo,
dopo la batosta israelo-americana di questa estate. Il partito del riarmo è
praticamente scomparso: non si discute nemmeno come riprendere l’iniziativa a
Teheran, ma solo come uscire dall’ipotesi riarmo, su tutte le piazze, Siria,
Libano, Yemen. Dove ogni parte attiva risulta abbandonata, dall’armamento
al coordinamento politico e militare.
Qualcosa potrebbe essere già in atto anche
col governo americano. Per avere una qualche forma di assicurazione politica in
cambio della rinuncia al nucleare, col rientro sotto i controlli dell’Aiea – una
ripresa degli accordi con la presidenza Trump del 2015.
In vista di un riarmo psicologico,
si riprende a Teheran la celebrazione della presidenza Rouhani negli anni 2010.
Un presidente che si era impegnato per la modernizzazione dell’economia, e
aveva promesso, e in parte promosso, una revisione dei diritti civili, a
cominciare dal diritto di famiglia. Avendo maturato in precedenza più di ogni
altro politico conoscenza dei problemi militari e strategici del paese. In suo
nome una discreta pubblicistica favorevole al disgelo è promossa nell’America
di Trump.
In passato le due potenze del Male non
avevano disdegnato i rapporti. Erano stati gli Stati Uniti in definitiva a consacrare
il khomeinismo nel 1978, abbandonando lo scià, già Grande Alleato, su
iniziativa personale del presidente Carter, col suo inviato speciale a Teheran,
gen. Huyser. Dopo la presa degli ostaggi da parte del khomeinismo radicale, e
la catastrofe Carter, col tentativo di liberare gli ostaggi e col sostegno a
Saddam Hussein per muovere guerra all’Iran, Reagan aveva ripreso i contatti, finiti
nello scandalo Iran-Contras. A lungo gli Stati Uniti, pur definendo l’Iran “potenza
del Male”, non hanno mai promosso iniziative contro - e probabilmente ne hanno
dissuaso Israele, la strategia degli “attacchi preventivi”. Favorendone il ruolo di
bilanciamento nella regione, avverso gli avventurismi arabi. Dapprima di Saddam
Hussein, con la guerra del Golfo, e poi dell’Arabia Saudita, con la lunga guerra
nello Yemen.
Poi i rapporti con l’Arabia sono
decisamene migliorati, dopo essere decisamente peggiorati, con l’accesso al
trono dell’ultimo re “saudita” (figlio di Abdelaziz el Saud, il fondatore del reame)
Salman, e di suo figlio principe ereditario Mohammed bin Salman. Dopo il giro
di walzer con la Cina, l’India, il Pakistan, e l’assassinio a Istanbul
del giornalista Jamal Kashoggi. Già con la presidenza Biden, ai primi di agosto
2022 - un’apertura di credito cui però Mohammed bin Salman resistette. Prima cioè degli
abbracci e accordi militari, economici e personali con Trump a maggio – affari da
150 miliardi e (forse) pace saudita con Israele (“accordi di Abramo”).
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