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lunedì 30 dicembre 2013

L’Europa senza radici viene dalla guerra

Un’altra Europa, che non quella dei dazi e dei tassi d’interesse? Non sradicata, come l’ha voluta l’élite laica che ne ha redatto le costituzioni? Era possibile. È quella cui pensavano gli europeisti radicali e “naturali”, fuori dai centri d’interesse, Eugenio Colorni, Altiero Spinelli, Jean Monnet. E Simone Weil, che curiosamente ne redigeva i fondamenti costituzionali, nell’esilio-esilio di Londra stesso tempo che Colorni e Spinelli al confino a Ventotene. Non in progetto o manifesto, ma in un insieme di appunti, saggi e lettere che qui opportunamente Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito riuniscono. Con un apparato critico che è anche una scorribanda negli ultimi mesi di vita, e nella personalità stessa, della filosofa.
L’Europa di Simone Weil è un’entità nuova, ma consapevole delle proprie radici. E anzi a esse ancorata: alla filosofia greca, razionalistica, platonica, e al cristianesimo delle origini depurato. ai suoi anni (1942-1943) un’utopia rispetto alle condizioni in cui l’Europa versava. Rispetto alla stessa Europa che combatteva il nazismo. È per questo che il suo esilio è doppio: Simone si sente prigioniera, e anzi vessata, dalla Francia combattente con la quale è venuta a schierarsi a Londra, tenuta in punta di bastone e anzi in sospetto. Più che un vero progetto di Costituzione, gli scritti delineano la constatazione, possibile già nella fase più delicata della guerra, di un’occasione fallita, di un’immane tragedia senza catarsi.
Simone Weil, Una costituzione per l’Europa. Scritti londinesi, Castelvecchi, pp. 376 € 22

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