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giovedì 13 aprile 2017

Letture - 299

letterautore

Comico – “Ha vita breve”, dice Savinio, “Nuova Encicloperia”, 96: “Presto si spegne e anche più presto si corrompe”. Ne è riprova lo scoramento che danno i vecchi giornali umoristici. E anche la rilettura di Plauto o Aristofane.
Il comico ha bisogno della novità, della sorpresa: “Il comico, per essere fresco ed efficiente, va rinnovato di giorno in giorno, se non di ora in ora”.

Dettaglio – “Dio (o la verità, o tutto) è nel dettaglio”: la chiave (anche kafkiana?) è nelle “Mille e una notte”, il dettaglio che crea meraviglia.

Francia Scott Fitzgerald – Curioso monumento cavo. Come una silhouette, ritagliata da amici, tutti estremamente devoti ma con riserve, critici, in genere mal volenti, e soprattutto gossipari, di cui si può dire il beniamino - il precursore inarrivato del jet set. Senza consistenza propria – non si sa nemmeno se chiamarlo Fitzgerald negli indici dei nomi e negli scaffali delle librerie oppure Scott Fitzgerald (è Fitzgerald, Francis Scott). Celebrato sempre con riserve, anche di sostanza, anche da parte degli ammiratori, per primo Edmund Wilson, che fu suo amico e aiutante, gli correggeva anche le virgole, ora da Arbasino, “Ritratti e immagini”, che per molti aspetti lo rifà. Viene dato come “creazione” altrui, una sorta di marionetta parlante della critica, dello stesso Wilson, o di Hemingway, o di monsignor Fay (Shane Leslie e lo stesso Arbasino dietro di lui), perfino dei Murphy, i ricchi salottieri americani della Costa Azzurra. Perfino il suo ritratto “ufficiale”, quello del sito a lui dedicato, lo ritrae con un taglio di occhi, e della fronte, della bocca, della chioma, che ne fanno una donna middle-aged quanto usavano i capelli a crocchia divisi in due bande.
Ammirato dai gossipari per una vita avventurosa che invece non ebbe, se non di debiti e alcol – come molti americani ordinari. Invidiato per una moglie che invece era più sciocca che bella.

Flaubert – “Somigliava a un fotografo di provincia”, dice Savinio, “Nuova Enciclopedia”, 169 (“Del fotografo di provincia aveva il collo taurino, gli occhi esorbitati e acquosi, il sommo del cranio spoglio e una corona intorno al cranio di capelli abboccolati, baffi da Vercingetorige”): “Accanto a ingrandimenti riuscitissimi, precisi, documentari” (Bovary, ‘«L’Educazione sentimentale»), “e a una negativa perfetta come «Bouvard e Pécuchet»,associò come fanno i fotografi di provincia, fotografia e pittura – pittò con la melassa di canna.., pitture da dare il diabete come la «Tentazione di sant’Antonio» e «Salambô»”.

Germania – Arbasino ha (“Ritratti e immagini”, 52) “la dolorosa compattezza e l’immobilità domestica e la clausura addirittura claustrofobica di una cultura come quella tedesca”. Della gente cioè che più va all’estero. Thomas Mann ne è il caso preclaro, o Günter Grass, ma tutti lo sono più o meno, per quanto cosmopoliti e poliglotti, inscalfibili (Thomas Mann è anche quello che nel dopoguerra ha “rivelato” alla radio ai tedeschi i crimini di guerra nazisti).
Arbasino opina che “la reclusione e la compressione – e un décalage notevolissimo fra la domesticità e il vagheggiamento – possano produrre pensieri profondi, sistemi elevati, meandri rarefatti in cui s’aggirano anime belle e non di rado bellissime”.
Ci vuole domesticità assoluta per il vagheggiamento?

Immigrazione – Poco accogliente “nei paesi anglosassoni”, la dice Gadda nel 1932 – non era ancora epoca di “perfida Albione” – in un articolo sulla “Divulgazione tecnica” per “L’Ambrosiano”. Dove fa carico agli Stati Uniti della “tendenza anglosassone a respingere duramente le altre razze dai possibili benefici della fortuna, buttandole fuori casa senza riguardo”.

Primo Levi – Non si celebra per i trent’anni della morte, l’11 aprile 1987 – niente al paragone dei quarant’anni di Pasolini, perfino dei trent’anni dell’aborrito Cassola. Se non da Giornate della memoria, visite compunte a Auschwitz, lezioni di educazione civica. Nessuno studio critico, soprattutto non della sua opera di scrittore. Che invece è una delle più resistenti del secondo Novecento, se non la più robusta.

Lucciola – È “vescica” in francese, vessie. Nel detto “prendere lucciole per lanterne”, che in francese recita “prendre des vessies pour des lanternes”.

Mussolini – È “un colossale membro virile” anche in Savinio, “Nuova Enciclopedia”, p. 376, in contemporanea con Carlo Emilio Gadda, ca 1944. La sconfitta genera mostri.

Omero – È ironista, più che celebratore di miti. Sintetizza in un anno, l’ultimo, una guerra durata già nove anni, che è l’ultima di nove o dieci guerre, e l’ultimo atto di una storia durata mille anni. Racconta con distacco - con ironia - la truculenza achea e dorica tipicizzandola in episodi rivoltanti, e salvando per converso le donne, di ogni parte, Elena compresa, la fedifraga, e Ettore per il suo senso della famiglia.

Proust – Obbligato da malattia a lungo decubito, Savinio si sorprende a “prousteggiare”. Non lo ama e lo dice un chroniqueur, che Proust certamente è. Ma non in senso peggiorativo – la cronaca Savinio vuole la linfa che tiene vitale la narrativa e la poesia francesi. “Lo stile, studiatissimo e ricercatissimo, non ha altro fine se non di condensare la documentazione”. Che è sovrana: “La sua opera è al tutto monda da qualsiasi fine prestabilito, non sviluppa nessuna tesi, non propugna nessun principio, non si richiama a nessuna idea, non contiene nessun presupposto né morale, né sociale né etico”. L’omosessualità è un fatto, Proust non ne fa bandiera di libertà o di principio – compreso il moralismo che a tratti l’affligge.

Le chiavi dei personaggi della “Ricerca” sono delucidate. Ma perché non ipotizzare più cambiamenti di sesso? Una Odette al maschile, uno Swann al femminile (Odette wikipedia attesta che è “diminutivo francese femminile del nome Oddo”), etc. Come rivendicazione “militante” del gay-lesbismo, e coperta (indiretta) del transgender. Come indifferenza al gender.
Un Proust del genere sarebbe satirico fino al cinismo. Romantico non è, malgrado il capitolo Albertine. O: come e perché la narrazione gay-lesbica non è romantica.

Roma - “A Roma di mattino presto ho guardato dal cimitero protestante fino al Testaccio e ho gettato via la mia pena!” I.Bachmann, “Quel ch ho visto e udito a Roma”, 124.
È ombrellifera. L’orizzonte di Roma Edmond Abot, “Roma contemporanea”, 1859, vedeva a ombrello. Quello delle cupole e quello del verde. A ombrello aperto coi i pini, “la più parte”, a ombrello chiuso con i cipressi.

Russia – “Dostoevskij e Turguenev potevano ghiottamente incontrarsi a Baden-Baden, probabilmente sorseggiando champagne, bibita mai posatasi sulla ‘console’ di casa Kant  o sul comodino di casa Keller”, A. Arbasino,”Ritratti e immagini”. Un altro mondo.

Scrivere - Progettare l’opera “c’est fumer des cigarettes enchantées” (Balzac)

Stile – “Come una vernice trasparente, deve ricoprire i colori, renderli più brillanti, ma mai alterarli”. Stendhal, “Vita di Metastasio”, 52.

Tolstoj – Aristocratico tra aristocratici. Quando scriveva “Guerra e pace”, con principi e conti che parlano francese, spiegherà che non aveva altro in mente: “La vita degli impiegati, dei mercanti, dei seminaristi e dei contadini non mi interessa, e mi è mezzo incomprensibile, la vita degli aristocratici mi è comprensibile, interessante e cara” – “la vita degli aristocratici di quel tempo”, specificava, “grazie ai documenti dell’epoca, e anche per altre ragioni”.
Per lettori, anche, aristocratici? Il lettore è aristocratico.

letterautore@antiit.eu

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