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martedì 11 aprile 2017

Intercettate, qualcosa resterà

Non sarebbe il primo caso di intercettazioni falsificate, se l’accusa al capitano Gianpaolo Scafarto per l’inchiesta Consip. Lo stesso Scafarto, e gli stessi suoi danti causa a palazzo di Giustizia, si sono resi protagonisti pochi anni fa di un’altra inchiesta senza esito, a parte le indiscrezioni contro Renzi, quella presunta sulla metanizzazione di Ischia.
Altra inchiesta, anche questa napoletana, basata sulla falsificazione delle intercettazioni, fu nel 2006 a carico della Juventus. A opera di due giudici che su di essa hanno costruito una fulminea carriera,  Narducci e Beatrice, e di un tenente colonnello dei Carabinieri, Auricchio. Con intercettazioni omesse, altre sincronizzate o trascritte in modo artefatto – Auricchio, accusato di avere manipolato altre intercettazioni, si era querelato ma aveva perso la causa.
Il processo si concluse con condanne perché i proprietari della Juventus, gli eredi Agnelli, volevano sbarazzarsi del management del club. Ma la presidente del Tribunale Teresa Casoria rimase sbalordita dalla faciloneria e la supponenza dell’inchiesta – vinsero gli intercettatori, con l’aiuto allora di Berlusconi.

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