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giovedì 6 luglio 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (331)

Giuseppe Leuzzi

Chiedo a google di cercarmi “Socrate condannato per magia”, e google mi risponde, perplesso, dopo una pausa, “forse cercavi: «Socrate condannato per mafia»”. Mafia magia, dunque, a questo punto?

Un museo multimediale dedicato a Federico II. A Palermo? No, a Jesi. In Sicilia il Sacro Romano Impero non c’è - c’è mai stato? I Normanni nemmeno, eccetto che nei somatisimi popolari. Nemmeno multimediali, che non costa nulla. Solo gli Arabi, da qualche tempo, esistono in Sicilia, da quando gli arabi ricchi si sono arricchiti.

La mafia non è una guerra
Non fa più notizia l’arresto di 116 ‘ndranghetisti. Compreso uno che, dal carcere, si proclama Stato, “lo Stato sono io” - va il mafioso spaccone, non più quello che si nega. Per le tv sì: mille o duemila Carabinieri in assetto di guerra, con infrarossi, nerofumo, red dot, elicotteri, blindati fanno scena. Ma cento più o cento meno non interessa più nessuno. A torto, forse, ma non del tutto.
Il blitz è un’azione di guerra - è l’orgoglio del militare. Sicuramente bene organizzato, probabilmente bene calibrato, ma senza sollievo per nessuno. Il contrasto alla mafia è – sarebbe, dovrebbe essere - un’azione di polizia, non bellica. Di prevenzione e punizione costante, immediata.
Il blitz arriva dopo quanti anni di sopraffazioni? Dieci, venti, trenta? Sia ognuno degli arrestati  colpevole di un solo reato di mafia, sono 116 reati non puniti. Ma è più probabile che siano 1.160, o 11.600. Si “punisce” tra i tanti una famiglia mafiosa di Sinopoli che è attiva da almeno mezzo secolo, con danno per centinaia di famiglie e migliaia di persone, al patrimonio e alla persone – da tempo peraltro sequestrata e confiscata negli investimenti romani (dopo che avevano liquidato l’attivo in piazzamenti più sicuri?).
Si colpiscono i paesi di Platì e San Luca. Famosi ultimamente perché nessuno si candida più a sindaco. Un rifiuto di cui si fa una lettura sbagliata: sono tutti mafiosi. No, nessuno si candida perché sa che è inutile. Che il mafioso farà comunque danni, mentre lo Stato – il prefetto, il questore, il giudice – eleggerà a bersaglio l’eletto. Per oltre trent’anni, Platì e San Luca hanno detenuto impuniti il monopolio dei sequestri di persona: un’Anonima Sequestri di cui tanto si fantasticava, inafferrabile, composta di persone rozze e ignoranti. Morte le quali è finito il business.
Non c’è la denuncia? Ma denunciare è inutile, crea solo danni, non avviando l’azione di polizia puntuale. Il lettore immagina che la denuncia o l’evenienza di un delitto, come in ogni giallo, sia seguita da un’indagine accanita, fino alla scoperta dei colpevoli. Non è così: la denuncia va agli atti: subito per la statistica e a termine, di anni, di decenni, per l’apertura di un’indagine (le Procure sono intasate….). Per decenni, e tuttora, un mercato internazionale della cocaina è stato creato e gestito da persone cui a San Luca nessuno avrebbe dato un soldo di credito, a Milano, a Marbella, in Germania. Luoghi dove è difficile un blitz?  
      
Il toro è un bue, indolente
Serapide, il Dio dell’Egitto, quando è venuta l’ora di inventarlo, dice Ungaretti in una nota de “Il deserto”, il suo quaderno dell’Egitto nel 1931, “vorrà somigliare all’Osor-Api, all’idea pura, collettiva, dei tori sacri, degli Api morti nel regno di Osiride, il quale è l’eternità della morte”. Api è il bue. L’etimologia di Serapide, un culto rapidamente adottato nel mondo greco-latino, è stata fantasizzata, o come una divinità greca adottata dall’Egitto, o viceversa. Mentre il “Dio dell’Egitto” era opera di Tolomeo Soter – detto anche Tolomeo Lagide, o semplicemente Tolomeo -  il re-scrittore macedone (367-282 a-C.) che continuava l’ellenizzazione del mondo intrapresa da Alessandro Magno. Ed era un composto, l’egittologia lo sa, era l’ellenizzazione, di Osor e Api, le due divinità egizie: le manifestazioni terrestri di Osiride dopo la sua morte legando al bue Api. Ungaretti ne sa però di più. Facendone discendere una tipologia, che spiega molte cose:  “Il nuovo idolo personifica Dioniso, la vita furente, e Zeus l’onnipotente, ma insieme con essi l’Hades”. Serapide nei musei ha “barba fiorita, labbra carnose che la sanno lunga, una fronte che pare saggia, e nasconde l’inferno”. È “un Giove beffardo, un uomo sensuale, un pazzo dei suoi tempi”.

Non si finisce di trovare accezioni straordinarie alla presenza del toro, così diffusa, anche se ora solo nella toponomastica, in area magnogreca. Zagreo, figlio di Persefone e Zeus, è fatto a pezzi dai Titani quando si è trasformato in toro. Il suo cuore trapiantato da Apollo sul Parnaso darà origine a Dioniso. È la versione orfica della nascita di Dioniso.
A Delfi veniva venerato in contrapposizione ad Apollo, il dio della luce - signore dei mesi invernali, tristi.

Mai sentito
Va a fuoco – l’ennesimo – una pineta a Roccammare, presso Castiglione della Pescaia, con mezza Maremma. Roccammare è anche famosa per le case di vacanza di letterati illustri, Calvino, Fruttero, Citati. Mille campeggiatori sono stati evacuati. Poche righe.
Incendio il giorno dopo a Ragusa: una pagina

Due casi di morbillo tra i ricercatori di Elettronica al Politecnico di Milano. Cinque righe sul “Corriere della sera”, il giornale di Milano. Due giorni dopo l’accertamento.

Tute le spiagge toscane, coronate da bandiera blu, dalla Riviera Apuana alla Versilia, al litorale pisano e livornese, compresa la costa settentrionale dell’isola d’Elba, e la Maremma, sono infestate  da materiale schiumoso giallastro. Poche righe, per dire che si cerca il cargo che va sversando la materia inquinante,

Se la mafia è più seria dello Stato
Sgarbi, che è stato deputato della Locride (auspice Franco Corbelli, il milanese difensore della buona giustizia) e sindaco di Salemi, in zona (ex) Riina, e quindi sa di che parla, ha un corsivo su “La Nazione” del 30 giugno, nella sua rubrica “Sgarbi vs capre”, che merita riprodurre:
“La questione è presto detta: la criminalità è organizzata, la legalità è disorganizzata. Per questo si pensa che Riina sia pericoloso perché guida un esercito di picciotti; mentre nessun mafioso teme Ingroia perché, dimettendosi dalla magistratura, ha perso il suo potere; può solo parlare, non più agire. Lo stesso può dirsi per Giuseppe Pisano o Rosy Bindi, presidenti impotenti della commissione antimafia. O per Rosario Crocetta che, campione dell’antimafia, non fa paura a nessuno. Parla. Anche Riina parla, e minaccia, e maledice. Non può agire. Ma il suo potere resta attivo e irriducibile. È stato arrestato, destituito, disarmato, separato dal suo esercito. Non può comunicare con nessuno. Perché è ritenuto pericoloso? Perché si ha più considerazione della mafia che dello Stato. La mafia è seria, lo Stato no”.

Il controllo del territorio
Dal Pantheon a Fontana di Trevi per via dei Pastini non è, come al solito, una buona idea, la stradina è iperaffollata, tanto più a giugno, questo giugno, con la canicola. L’amica che rivede Roma dopo trentacinque anni insiste, e quindi si fa. È peggio che nelle aspettative: la viuzza è letteralmente ingombra di tavolini che offrono cucina 24 ore, e di turisti sventurati che ci mangiano, seppure con una certa soddisfazione. Nonché di venditori ambulanti agli angoli.
Si procede distratti, rassegnati al peggio, ma attenti alle spalle, per riflesso condizionato. Una moto procede a basso volume di giri, imperiosa. Vistosa, il genere superbike streetcar. Sorpassa senza quasi rumore. Cavalcata da due uomini con baffoni, ma questo non è più singolare. Se non che non è la sola – è zona pedonale ma a Roma ci sono eccezioni: una segue, altrettanto vistosa, con una ragazza sul sellino. E non è finita, una terza segue, al minimo, quasi silenziosa, assecondando il moto ondivago della folla, ma facendosi strada.
È caldo, si guarda e non si guarda, si vede e non si vede. Finché, sorpresa, all’ingresso infine nella piazza monumentale, presagio d’aria, all’angolo basso, i baffoni della superbike si ergono in piedi, massicci. Il guidatore, il capo?, strizza un miniportafogli sbrecato – lo spreme con dita vigorose più che cercarci dentro. Il possessore, un asiatico minuto, tratti fanciulleschi come loro hanno, trema sorridendo. Abbozza un sorriso ma la testa gli trema: un rictus, la paura, un invito alla benevolenza? Ha un borsone piccolo, e vuoto più che pieno, non si vede di che, ma non ha fatto in tempo a chiuderlo. Dalla seconda moto la ragazza è scesa dal sellino, col suo guidatore, e si tiene a distanza, la mano sulla borsa a tracolla. La terza moto si sta fermando, la mettono sul cavalletto.
È un controllo di polizia, forse dei carabinieri – si capisce: vanno insieme, ci sono gerarchie. Era sembrata, effetto dell’afa, della malavoglia, una spedizione punitiva o di controllo,  di qualcuno dei padroni del territorio di cui si legge. Dei famosi Tredicine di cui “Il Messaggero” ci ingombra. Dei Casamonica, va’ a sapere. Dei camorristi che governano gli ambulanti – questi ambulanti della copia, del prodotto povero, del folklore asiatico, africano.
Il venditore all’angolo con la Spada d’Orlando, un africano, era sembrato scambiasse un cenno d’intesa col capo pattuglia: il tipo kikuyu, stortignaccolo, con molte turiste attaccate alle sue borse, i kikuyu sono abili commercianti. Il venditore di cappelli all’ansa col tempio di Adriano, davanti al negozio dei pinocchietti, un asiatico, non si era nemmeno girato. Il resto del percorso fino alla Fomntana, di là del Corso, sulla via Muratte, gli ambulanti senegalesi stanno sdraiati all’ombra. Hanno chiuso teli e borsoni, si riposano. Sono l’altro aspetto del controllo del territorio: non si salva chi non è parte di una cosca. Riposano con loro dei tipi somali, che non si saprebbe dire ambulanti – il somalo non lavora: faranno il loro controllo del territorio.

leuzzi@antiit.eu

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