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lunedì 26 novembre 2018

La Cina contro tutti

È tempo di vedere il bluff cinese? Non si apre con buoni ausici l’incontro Xi-Trump il prossimo week-end a Benos Aires a largine dell’assemblea del G 20. La Cina non ha risposto, e non intende rispondere, ai problemi sollevati da Washington sugli scambi commerciali e di tecnologia, e quindi il confronto dovrebbe finire in scontro: con dazi allargati sugli scambi commerciali. Uno scontro che, nei calcoli americani, dovrebbe colpire duramente la Cina, forse anche nella sua stabilità politica – attorno al partito Comunista al potere dal 1949 – “la Cina farà i settat’anni?” è la battuta di rito nella diplomazia americana.
Da parte americana il problema non è Trump. L’amministrazione  è con lui, con il concorso di banche e industrie: la Cina opera in dumping sociale, tecnologico (copia di tecnologia senza spese di ricerca) e finanziario (sottovalutazione dello yuan). È un rovesciamento nazionale della politica americana, non partitico o legato a Trump. La scelta della globalizzazione fu fatta a metà degli anni 1980 su base nazionale e non di parte – fu disposta da un presidente repubblicano, quindi anticomunista e pro guerra fredda, George Bush, che era stato anche ambasciatore a Pechino, oltre che capo della Cia, e rispondeva alle esigenze dell’apparato industriale
e finanziario americano.
Da parte cinese la presidenza Xi si caratterizza per n rovesciamento della posizione detta da Deng Hsiaoping nel 1986 in parallelo con l’apertura di Bush, “mai contro gli Stati Uniti”. Il presidente a vita Xi ha disposto l’occupazione militare del mare Cinese Meridionale e Orientale, tra Giappone, Corea, Malesia e Filippine, e intende proporsi a leader economico mondiale, quello cioè che detta le condizioni, sfruttando il suo enorme mercato interno. I programmi cosiddetti della via della Seta e dell’Eurasia, con l’Africa come appendice, mostrano un atteggiamento internazionale militante, seppure limitato agli investimenti.
Un cambiamento di linea di cui sono spia le ripetute “scuse” umilianti imposte a vari operatori occidentali che operano in Cina per i motivi più vaghi. Risentito peraltro subito dai vicini asiatici: la conferenza annuale l’altra settimana in Papua Nuova Guinea dei 21 paesi del Pacifico è stata una tre giorni di Cina contro tutti.

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