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lunedì 26 novembre 2018

Mal d’Africa

Fra le ipotesi sul rapimento della giovane volontaria milanese a Mombasa c’è il ritiro appena effettuato di soldi al bancomat. Una ipotesi molto africana, doppiamente. Che bastino i pochi soldi del bancomat in Kenya, uno dei paesi africani più ricchi (meno poveri), per un rapimento di persona. E che la giovane non avese ritirato materialmente i soldi, ma li avesse “caricati” sul suo cellulare, facendo per questo imbufalire gli scippatori.
È un’ipotesi anch’essa molto africana. In Africa la polizia non fa 
ipotesi investigative, ammesso che ce ne sia una a Mombasa e dintorni – che ci sia una polizia. Ci sono invece molti capi della polizia, vice-capi, dichiaratori, insomma persone importanti, a volte per una semplice birra. Ma non è questo il punto.
Il punto è che un rapimento va organizzato, con mezzi di trasporto,
alloggi, alimentazione. In Africa come in Sardegna o in Calabria, e negli Stati Uniti. E che, nemmeno a Mombasa, in un villaggio semisterrato vicino Mombasa, si possono ritirare dei soldi al bancomat e “caricarli sul cellulare” – questo ancora non si può fare in Italia (si può solo, solo da qualche settimana, scaricare l’acquisto col celullare sulla carta di credito). L’Africa è povera, poverissima, sfruttata, dissanguata perfino, ma non è ingenua né infantile, come la pensano i volontari. Questo è un residuo del razzismo, il “mal d’Africa” dei vecchi coloni. L’Africa nera è complessa e sofisticata, come ogni altra parte del mondo. Accetta le elemosine, ma di cose utili, e anzi forse solo di cure e medicine, che purtroppo si pagano in soldi e sono care.
C’è, è inevitabile, un romanticismo dell’Africa. Dei grandi spazi, dei grandi animali. Ma bisogna viverlo come gli africani, con circospezione. Loro, se non altro per il bisogno, ne sanno quanto noi e forse di più – in una antropologia rovesciata, ci direbbero ingenui.

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