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sabato 1 dicembre 2018

In guerra col mercato, della crisi


Una reviviscenza del cinema-verità, con riprese “dal vivo”, tipo “fuori onda” o telecamera nascosta. Di un evento drammatico e alla fine anche tragico: la chiusura minacciata di una fabbrica, con 1.100 licenziamenti, malgrado i sacrifici dei lavoratori per tenerla in vita, deciso da una multinazionale allogena - la fabbrica è in Francia, la proprietà in Germania. Molto eloquente. Benché un solo attore sia professionale, o professionalmente noto, Vincent Lindon, I comprimari, ottimi caratteristi,  recitano “se stessi”, hanno nella sceneggiatura lo steso nome che da attori, e qualcuno anche la stessa professione - avvocatessa nel film avvocatessa nella vita. Tutto insomma molto veritiero. Anche teso, da un montaggio ben calibrato. Che però non commuove.
Più che il fatto – un fatto specifico – sceneggia dei ruoli. La multinazionale fa la multinazionale, remota, falsa, il politico fa il politico, chiacchierone, il sindacalista fa il sindacalista – e siccome c’è un sindacalismo oltranzista e uno realista, i sindacalisti per lo più litigano tra di loro, eccetera. Non manca la violenza, quando la giusta collera sfugge di mano.
Un saggio ponderato, anche equanime. Se non commuove però appassiona. Forse perché sorprendente come soggetto. Sul fondo della paura, certo, che il mercato alimenta ormai da troppi anni, dell’incertezza, della crisi continua, insostenibile.  
Stéphane Brizé, In guerra

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