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lunedì 18 maggio 2020

L’amore è solitario

“Dolce cosa è l’amore”, che tuttavia non si compie - al dunque si sfarina. C’è già il san Valentino, nel 1409-1410. Al tempo in cui l’amore si scriveva, per decine, centinaia di lettere, sempre vecchie e sempre nuove. Le missive alternando alle conversazioni, di battute veloci, un verso l’uno, di concetti argomentati, una strofe l’uno. Ma sempre vivendo l’amore nel rinvio. Finché non si perde, in questa storia tra i pettegolezzi. Il racconto della solitudine in amore: “Soletta sono e soletta voglio essere”, la dama spesso protesta, finché l’amante infine ritorna, ripetuto proclama il suo amore, ma non resiste ai pettegolezzi.  
Un racconto movimentato nella sua semplicità: il corteggiamento, reciproco, il ritrovamento, la separazione, il nuovo incontro, le gelosie, l’abbandono. Concluso da un lungo “Lamento di donna”. Un racconto profusamente cantato. In versi cioè, di varia forma, ottonari o endecasillabi in ottave, in quartine, in distici, tutti rigorosamente in rima semplice, baciata o al più alternata. La formula del romanzo cavalleresco o d’avventura adattata alle pene d’amore.  
Christine de Pisan è in realtà Cristina, figlia di un matematico e astrologo bolognese che professava a Veneza, dove Crisina nacque, invitato a Parigi dal re Carlo V. Quando lei aveva quattro anni. A quindici si era sposata. A venticinque era già vedova, e decise, invece di risposarsi, di mantenersi da sé, scrivendo. Per avere grande facilità di rima – una sorta di Patrizia Valduga d’antan. Mantenendo il patronimico, “da Pizzano”, dal borgo bolognese di cui il padre era originario. Quando il padre cadde in disgrazia a corte, seppe mantenere la numerosa famiglia con i suoi scritti. Che diffondeva in proprio. Un profluvio di storie e ballate, culminate nel poema “La città delle donne”, e in testi vari, di morale, costume, comportamento – perfino un trattato di arte militare. Ebbe anche influenza politica rilevante, a corte e in città.
Fu celebrata da Marot, Verdier, e da Jean Mabillon nel suo “Viaggio in Italia”. Ma le storie letterarie otto-novecentesche l’hanno snobbata. Gustave Lanson ne fa scempio nella sua “Storia della letteratura francese”, che ha fatto testo nel primo Novecento, straordinariamente misogino: “Una dele più autentiche bas-bleu della nostra letteratura, la prima di questa insopportabile sfilza di donne-autore alle quali nessuna opera su nessun soggetto costa, e che, per tutta la vita che Dio concede loro, non hanno altro da fare che moltiplicare le prove della loro infaticabile facilità, uguale alla loro universale mediocrità”. Recuperata solo da una quarantina d’anni, dalla storica medievista Régine Pernoud, nel quadro degli studi di genere.
La Christine di Lanson è però, allo specchio, quello che lei stessa presumeva della sua opera, il suo stesso progetto. Di scrittrice di programma prolifica, ma di figura sempre “orgogliosetta”. Il modello femminile delineato da Froissart, derivato dalla “belle dame sans merci”dei trovatori e di Chartier, la bella che non vuole amare per non essere ingannata. Con un pizzico di spregiudicatezza: la dama di Christine vuole amare, vuole innamorare. È parte attiva nel gioco dell’amore, senza infingimenti – cinque-sei anni prima, nella “Città delle donne”, lamentava ad arte: “Ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere”. E il racconto movimenta linguisticamente. Infiorettandolo di parole rare, calembour, giochi di parole. Vezzi del tardo Medioevo, ma dispensati con sapienza. La numerologia. Il gioco del nome: Cristina, Cristo, cri, grido. Gli anagrammi creintis, con cui firma alcune raccolte (“Epistre au Dieu d’amour”, “Livre du dit de Poissy”), e en escrit, che chiude queste “Cento ballate”, o escrinet, scrignetto, dalla fusione di Christine con Estien, il nome del marito morto.
A cura e con la presentazione di Anna Slerca. Con l’originale francese.
Christine de Pizan, Cento ballate d’amante e di dama, Aracne, pp. 280 € 18


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