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lunedì 13 settembre 2021

Lo sporcaccione Bukowski tra femminismo e ecologia

Bizzarra lettura oggi 2021 – rilettura, a cinquant’anni data? – di oscenità, piene anche di ora proibitissime lettere N, e di scopate, in genere a danno, si dice così, di donne, oltre che di bevute, di birre a cassette, qualche volta di vino cattivo – “Erezioni Eiaculazioni Esibizioni” è il sottotitolo. Riproposta da Feltrinelli, non un editore trumpiano, e ritradotta con gusto (con efficacia) da Simona Viciani. Senza rimprovero possibile: è una raccolta alla 56ma edizione, la quarta dopo la riproposta, e il lettore non può essere scorretto (o sì?).
Racconti di un’epoca in cui tutto si poteva dire, che si gloriava anzi di poter dire tutto. E Bukowski “vecchio” quarantenne non aveva più voglia di fare il letterato debuttante, rispettoso – era pure nato in Germania, i genitori aveva avuto tedeschi, anche se il padre era già un tedesco-americano, sergente delle truppe americane sul fronte franco-tedesco nel 1918 – in attesa dell’occhio di un critico. Ha deciso di buttare la professione all’aria, e ha sfondato, anche con la critica. Piccolo Pantagruele nella grande America.
Racconti spicciativi per lo più, e ripetitivi. Sia nelle bevute – non ci sono molti modi di ubriacarsi - che nelle trombate, che Bukowski si limita a descrivere biblicamente, per numeri. Le storie sono di uno scrittore ubriacone, di donne che cercano compagnia al bar, con qualche puntata ai cavalli, in perdita oppure no, e qualche lavoretto da venticinque dollari a settimana, trentacinque, una miseria. Racconti però d’epoca. C’è la stampa alternativa, con la storia di “Open City” (qui “Open Pussy”, fica aperta), il settimanale che riuscì a sopravvivere per due anni a Los Angeles, con 20 mila copie – ce ne volevano 60 mila – quasi tutte tirate dalla rubrica “Taccuino del Vecchio Sporcaccione” Bukowski. E c’è la politica, con lo  “Sporcaccione” Bukowski anticipatore, nel 1966: “La Russia si era rammollita; poteva darsi che solo i cinesi sapessero le cose, con il loro sistema di scavare dal fondo” (“nascita, vita e morte di una rivista underground” – Bukowski non usa la maiuscola come segno ortografico, scrive discorsivo). C’è perfino il racconto dell’ecologia. Preciso anche sulle armi in America, sulla giustizia come violenza. E sulle letture: un omaggio a Hemingway, il vecchio Ernie, e una critica a Pound, già poeta amato, troppo intellettuale, troppo bravo artigiano - ma anche il vecchio Ernie viene sorpreso, in morte, non glorificato e anzi indispettito dal successo de “Il vecchio e il mare” (“sei tornato al tuo vecchio stile, ma era artefatto”).
L’effetto, singolare, è di uno dei due o tre racconti non ripetitivi, “quindici centimetri”: non del maschio trionfante, con le sue scopate a ripetizione, ma del rimpicciolimento del maschio, da parte della femmina divorante, fino a ridurlo a un pene neanche grande, un giocattolo masturbatorio. In particolare questo avviene appunto nell’antifrastico “quindici centimetri”, che è, di programma, il racconto dell’ecologia – femminismo quindi ed ecologia insieme, un effettone: “Questa è la Nuova Era”, proclama la Dea castratrice, “l’Era Atomica, l’Era Spaziale e, più importante di tutte, l’Era del Sovrappopolamento. Io sono la Salvatrice del Mondo. Ho la risposta all’Esplosione del Sovrappopolamento”. Che è la stessa dell’Inquinamento: “La chiave sta nel risolvere il Sovrappopolamento, sistemerebbe l’Inquinamento e molti altri problemi”. Altra divinità femminile, Carol, salva gli animali dalla fine del mondo - finito il boom post-bellico, è sempre la fine del mondo: la epoca del never had it so good sarà anche quella della crisi perpetua -  e anzi conclude al post-umano, ben prima di Rosi Braidotti. Un femminismo ecologista sarebbe il vangelo del Vecchio Sporcaccione, che del maschio fa polpetta.
Non grandi racconti. Di un’esistenza “inutile” – “come faceva la gente a fidarsi così tanto di me?” Non un grande mondo, anche a dirlo degli emarginati – ma non lo sono. Di solitudini senza storia. Senza gioia anche, si direbbe, malgrado l’alcol e il sesso. Di figuranti di una bohème americana, dopo i beat, solitari fuori scena. Un racconto mette in scena la moglie di un breve periodo per irridere alla bohème hippie: la signorina Tuttamore, Controlaguerra, la signorina Poetessina, la signorina...”, nume di reading tra amici, sempre in piccolo gruppo, nove, “comunista” per di più, dissipata in una comune, Ma senza nemmeno cattiveria, solo il piacere di dire la compagnia, per poche ore, pochi giorni, della piccola Tina, quattro anni, la figlia in comune. 
Letteratura fresca, come si leggeva all’origine, sorprendente, nella stampa alternativa, a New Orleans al Vieux Carrè o French Quarter, uno degli ingredienti del turismo, con le ragazze del bar sull’altalena, seminude, la Preservation Hall del dixieland e le patatine fritte, o al Village a New York, tra le “canne”, che fricchettoni-e fumati-e distribuivano per pochi centesimi.. Oltraggiosa, spensierata. Ma, appunto, alternativa. In volume stempera nel bozzettistico, del genere “alternativo”. Con l’effetto contrario, di poca fantasia invece che di molta, addirittura sfrenata. Da Vechio Sporcaccione professionale, che ha peraltro – il genere – pochi utensili: anche l’aneddoto “vero” si stempera nel modulo.
La narrazione oltraggiosa si dipana peraltro entro una cornice colta, che Bukowski a tratti, come nervoso, fa emergere: “47 anni ed eccomi ancora qui a giocherellare sull’isola che non c'è”. Con ripetuti riferimenti a poeti, poetiche e poesia: essenza della poesia, debuttanti alla porta, circoli di lettura, letture in pubblico, grandi nomi oggi dimenticati (Creeley soprattutto, dimenticato a torto) eccetto Ginsberg. Letture: un omaggio a Hemingway, “il vecchio Ernie”, e una critica a Pound, già poeta amato – troppo intellettuale, troppo bravo artigiano. Ascolti raffinati, di Brahms, Čajkovski. Non senza saggezza – l’alcolizzato non è fumato: erba libera o no? “andremo alla deriva, di risposta in risposta”.  
Bukowski sarà sempre uno scrittore di fogli underground, anche quando, dopo i cinquant’anni, troverà un editore, la Black Sparrow Press – che il titolare, John Martin, creò praticamente attorno a lui. E diventrà uno”scrittore per europei”, in Germania, Italia, Francia. Di poesia principalmente, migliaia di componimenti, e di racconti più o meno di vita vissuta, alla Henry Miller. Collaboratore eminente di testate passeggere: “Los Angeles Free Press” dopo “Open City”, “The Outsider”, “NOLA Express” (New Orleans), “Beloit Poetry Journal”, etc.,  alcune al ciclostilo – il “Laugh Literary” dello stesso Bukowski, 1969, due o tre numeri. Racconti non  memorabili, ma certo refrigeranti nella sudata frigidità del Millennio, corroboranti. L’“eterno ubriacone” Bukowski è in certo senso perfino innocente, di fronte a tanto algore: è l’eterno adolescente, raccontato con altre parole.
Dunque, si pubblica ancora Bukowski – anche in America, sbirciando amazo.com (lì soprattutto il poeta, con molte stelle di apprezzamento, ma anche le “Notes of  a Dirty Old Man”). È un buon segno o uno cattivo – l’avranno trascurato gli apostoli della cancel culture?
Charles Bukowski, Storie di ordinaria follia, Feltrinelli, pp.398 € (promozione “Due libri”) 8,90


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